Stallo del Post Kyoto: Cina, Usa e il ruolo dell’Europa

  • 16 Novembre 2009

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Stati Uniti e Cina annunciano l'impossibilità di un accordo sul clima a Copenhagen. Solo un ritardo o un fallimento? Ora spetterebbe all'Unione Europea fare il prossimo passo. Ma servirà anche una decisa mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale. Un commento di Gianni Silvestrini.

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La decisione di Stati Uniti e Cina era nell’aria, anche se stupiscono le forme dell’annuncio di domenica, con la convocazione a Singapore del primo ministro danese per comunicare l’impossibilità di un accordo a Copenhagen. Uno sgarbo all’Europa.

Obama si è reso conto che tra la volontà di cambiare rotta sul clima e la sua trasformazione in atti giuridici le difficoltà sono molto maggiori del previsto. Lo dimostrano le resistenze che sta incontrando al Senato la legge sul clima e le posizioni ostili della potente Camera di Commercio che rappresenta 3 milioni di imprese.

La Cina, d’altra parte, deve conciliare interessi diversi. E’ lanciata sul fronte delle energie rinnovabili, ha la leadership mondiale della produzione mondiale di moduli fotovoltaici, è numero uno nella installazione di solare termico ed è in rapidissima crescita nell’eolico. Non solo, ma si appresterebbe ad annunciare un taglio dell’intensità delle emissioni di carbonio, rispetto al tendenziale 2020, del 40-45%. Teme però l’effetto dell’imposizione di obbiettivi vincolanti sulla crescita dell’economia e preferisce accordi di riduzione carattere volontario.

La somma di queste due incertezze ha prodotto lo stato di stallo. La vera domanda è se si tratta solo di un rinvio di qualche mese di un buon accordo mondiale o se la trattativa rischi di produrre risultati al ribasso o addirittura di saltare. Per questo, nei prossimi mesi sarà cruciale il ruolo dell’Europa, come lo è stato dopo lo stop di Bush nel 2001, quando riuscì pazientemente a ricucire i rapporti tra i firmatari del Protocollo di Kyoto fino ad arrivare alla sua entrata in vigore nel 2005.

L’altro importante attore nei prossimi mesi sarà l’opinione pubblica mondiale. L’attivismo internazionale che non riuscì a fermare la guerra in Iraq sarà in grado di imporre, attraverso una straordinaria mobilitazione, un accordo che eviti un esito catastrofico del cambiamento del clima?

Gianni Silvestrini
Direttore scientifico di QualEnergia e Kyoto Club

16 novembre 2009

 

 

 

 

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