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Ridurre la CO2 tagliando le spese militari

Come arrivare a 350 ppm, anziché solo sotto la soglia delle 450 ppm raccomandate dall'IPCC, lo spiega uno studio di alcuni economisti americani. Un obiettivo raggiungibile a costi contenuti e con notevoli benefici economici. Il problema sta nella volontà politica.

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Ridurre le emissioni? Si può fare a costi ragionevoli, anzi: farà bene all’economia. Anche puntando a un obiettivo ben più ambizioso di quello raccomandato dall’IPCC nell’ultimo assesment, pubblicato nel 2007. Anziché a una concentrazione di 450 parti per milione, obiettivo niente affatto scontato dei negoziati di Copenhagen, il mondo può infatti arrivare a 350 ppm. E può farlo spendendo una percentuale di Pil minore di quella che gran parte delle nazioni dedica alle spese militari, creando in più ricchezza e occupazione. Spinge i leader politici ad agire con più coraggio “The Economics of 350” (vedi allegato), studio realizzato da Economics for Equity and the Environment Network (E3 Network), rete che raccoglie 200 economisti delle maggiori università americane.

Secondo le raccomandazioni dell’IPCC del 2007, per avere almeno una possibilità su due di mantenere il riscaldamento del pianeta entro i 2 gradi rispetto al periodo preindustriale, bisognerebbe riuscire a stabilizzare la concentrazione di CO2 sulle 450 ppm (parti per milione). Dal 2007 ad oggi però la scienza ha constatato come il clima stia cambiando più velocemente di quello che si pensava: il sistema sembra essere più sensibile all’aumento dei gas serra e, dunque, la soglia di concentrazione della CO2 oltre cui non bisogna andare va rivista al ribasso.

 
Vincenzo Ferrara, Focal Point nazionale dell’IPCC, in un’intervista a Qualenergia.it di qualche giorno fa spiegava come bisognerebbe fermare le emissioni a 400 ppm, anziché a 450. Una parte crescente della comunità scientifica internazionale, con il famoso climatologo della Nasa James Hansen in testa, sostiene da tempo che 450 ppm sia una concentrazione troppo alta, che produrrà danni irreversibili: dalle 390 ppm attuali bisognerebbe invece puntare a ridurre la concentrazione fino a 350 ppm.

Un obiettivo, quello delle 350 ppm, veramente ambizioso e secondo molti irraggiungibile. Per inciso si ricordi che secondo il World Resources Institute con gli impegni attuali dei paesi ricchi difficilmente si riuscirà a stare sotto 450 ppm. (Qualenergia.it “Riduzione delle emissioni, paesi ricchi bocciati”).

Nello scenario auspicato da James Hansen si potrebbe raggiungere “quota 350” entro il 2100, eliminando il carbone entro il 2030, riforestando su larga scala e mettendo in campo tecnologie in grado di catturare grandi quantità di CO2 a costi ragionevoli.
Lo studio di E3 Network invece presume che le 350 ppm si possano raggiungere entro il 2200 e una delle tappe è la riduzione delle emissioni del 54% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020. Il tutto – al contario dello scenario di Hansen – senza dover mettere in campo tecnologie non ancora pronte, come quelle che sequestrano i gas serra su larga scala. La conclusione dello studio fa sperare bene: ridurre fino a 350 ppm si può fare e a costi ragionevoli, creando occupazione e – nell’ipotesi di un prezzo del barile sopra i 150 dollari – dà anche notevoli benefici economici.

Le 350 ppm – è il dato saliente dello studio – si potrebbero raggiungere con investimenti tra l’1 e il 3% del prodotto interno lordo globale. Un investimento che risulta ragionevole, considerando il rischio enorme del global warming e i benefici economici, ambientali e occupazionali che questa decisione darebbe. D’altra parte, come fa notare su Yale Environment360 Frank Ackerman, uno degli autori,  ben 68 paesi nel mondo destinano oltre il 2,5% del loro prodotto interno lordo alle spese militari, i due più grandi emettitori mondiali, Usa e Cina, destinano ciascuno oltre il 4% del Pil alla difesa. Arrivare o no a ridurre a sufficienza le emissioni climalternati dunque non è un problema di fattibilità economica o tecnologica, ma solamente di volontà politica.

 

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