Lavorare per il clima

  • 14 Settembre 2009

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Lavoro e lotta al global warming: un nuovo report di EREC e Greenpeace esamina le conseguenze per l'occupazione, nel settore elettrico, di una politica che promuova con decisione rinnovabili ed efficienza. Spingendo su questi comparti, infatti, al 2030 avremmo 2 milioni di posti di lavoro in più. Se non lo faremo ne perderemo 500mila.

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Al 2020 avremo 2 milioni di posti di lavoro in più nel settore dell’energia o ne avremo persi oltre 500mila? Dipende dal nostro impegno sul clima. Politiche decise per promuovere fonti rinnovabili ed efficienza energetica avrebbero grandi riaccadute positive su economia ed occupazione: la via d’uscita dalla crisi economica passa per la lotta al global warming. Porta nuovi dati a sostegno di quest’idea – sicuramente non nuova per i lettori di Qualenergia.it – lo studio pubblicato oggi da Greenpeace e da European Renewable Energy Council (EREC).

“Working for the climate”, questo il titolo del report (vedi allegato), va appunto ad esaminare le conseguenze sull’occupazione di due possibili scenari: quello business as usual (costruito a partire dai dati dell’International Energy Agency) e quello della “rivoluzione energetica“, ossia lo scenario in cui si adottino le politiche per energetiche raccomandate dalle due associazioni nel documento pubblicato l’autunno scorso “Energy [R]evolution: A Sustainable World Energy Outlook” (vedi Qualenergia.it “Strategia globale per rottamare petrolio e nucleare”). Parlaimo di politiche  che prevedono di accantonare carbone e nucleare per arrivare al 2030 soddisfare oltre la metà del fabbisogno elettrico mondiale con fonti pulite, con una conseguente riduzione delle emissioni climalteranti del settore elettrico al 2030 del 40% rispetto ai livelli del 1990 e dell’80% al 2050.

I risultati possibili?. Al 2030 nello scenario “Energy [R]evolution” si avrebbero 11,3 milioni di occupati nel settore dell’energia contro gli 8,6 dello scenario business as usual. Rispetto ai 9 milioni e qualcosa previsti in entrambi gli scenari per il 2010, quadruplicando gli investimenti in rinnovabili e riducendo del 17% il fabbisogno elettrico (rispetto alle proiezioni business as usual) si arriverebbe dunque al 2030 con circa 2 milioni di posti di lavoro in più, mentre senza politiche di sostegno alle rinnovabili se ne avrebbero circa 500mila in meno.

A giovare della creazione di posti di lavoro soprattutto i settori delle rinnovabili e dell’efficienza energetica (considerata solo nella produzione di elettricità, cioè escludendo settori rilevanti come riscaldamento, edilizia e trasporti). Quasi 8 milioni, secondo lo scenario [R]evolution, gli occupati nel settore dell’energia verde al 2030, più che triplicati rispetto alla cifra nel 2010 (1,8 milioni), mentre i cali occupazionali più consistenti avverrebbero nel settore del carbone (da 4,2 previsti al 2010 a 1,3 milioni nel 2030), industria nella quale il numero degli occupati calerebbe comunque anche nello scenario business as usual (da 4,6 milioni nel 2010 a 2,8 nel 2030), pur prevedendo un disastroso (per il clima) aumento del 37% dell’elettricità generata con questo combustibile sporco.

Dunque, vale la pena impegnarsi con decisione per usare meno energia e produrla di più da fonti pulite. Perché ciò accada, conclude il report, è fondamentale che a Copenhagen si raggiunga un buon accordo, che fermi entro il 2015 l’aumento delle emissioni di gas serra come raccomandato dalla comunità scientifica e che dia slancio alle politiche verdi nelle varie nazioni.

Occorre allora eliminare tutti i sussidi che incoraggiano l’uso inefficiente dell’energia o che favoriscono, anche in maniera nascosta, le fonti sporche. Una politica che punti sugli obiettivi nazionali per efficienza e rinnovabili, orientata a sostenere la domanda tramite adeguate tariffe incentivanti, incrementare i fondi alla ricerca  e adottando ovunque standard elevati per l’efficienza energetica.

GM

14 settembre 2009

 
 

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