Emissioni, il conto italiano dello sforamento

  • 7 Settembre 2009

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Lo Stato dovrà trovare 840 milioni di euro per pagare le emissioni in eccesso degli operatori partiti dopo il Piano nazionale per le emissioni. Il rischio è una sanzione miliardaria e il fermo degli impianti. Ma perchè si è arrivati ad uno sforamento di tale entità?

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Sul tavolo del ministro dell’Economia Giulio Tremonti venerdì arrivava una lettera preoccupata da parte di Assoelettrica, l’associazione di categoria dei produttori di energia elettrica. Oggetto: urgente reperire 550 milioni di euro entro il 2009 che potrebbero diventare 840 al 2012. Sono i fondi necessari ad acquistare sul mercato delle emissioni i permessi per la CO2 emessa sforando i limiti europei dalle industrie italiane che hanno iniziato produrre dopo l’assegnazione delle quote: 37 milioni di tonnellate per il 2009 che potrebbero essere 56 al 2012. Se i permessi non verranno comperati entro il prossimo 30 aprile il rischio va dalla multa di 5,6 miliardi di euro (100 euro per ogni tonnellata in più) al fermo degli impianti che hanno sforato.

Della questione si era iniziato a parlare a metà agosto, in seguito a un articolo del Sole 24 Ore, nel quale si divulgavano i contenuti di una relazione ai ministeri interessati (vedi allegato) redatta dal “Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del protocollo di Kyoto”. Il pezzo de IlSole24Ore metteva sotto accusa i limiti, secondo il giornale troppo stringenti, negoziati con l’Europa dal governo Prodi, in carica ai tempi della stesura del Piano nazionale per le emissioni 2008-20012. L’accusa portata dal quotidiano è nientemeno quella di “aver scaricato sui cittadini il costo di una distorsione ideologica a danno dell’economia italiana”.

Ma a leggere la relazione le cose non stanno proprio così. La quota di CO2 che il sistema industriale italiano può emettere – si scopre – è stata decisa in sede europea, con un margine di contrattazione minimo da parte delle istituzioni nazionali: 201,63 milioni di tonnellate contro i 230 che avrebbero voluto gli allora ministri di Ambiente e Sviluppo economico. Come ha sottolineato Edoardo Zanchini, direttore di Legambiente, intervenendo nel dibattito, “non è vero che l’Italia sia stata penalizzata nell’assegnazione delle quote, il criterio utilizzato è infatti lo stesso per tutti i Paesi. E i dati della Commissione smentiscono la tesi del Governo sulla maggiore efficienza delle imprese italiane rispetto a quelle degli altri Paesi europei.”

Quindi è difficile considerare “distorsione ideologica” l’aver accettato di fare la parte che l’Europa ci ha assegnato nella lotta ai cambiamenti climatici. Vero, invece, che i costi ora andranno a finire sul pubblico. Varie le ipotesi su come lo Stato potrà reperire i fondi: si è parlato di un trasferimento dalla Cassa depositi e prestiti, di attingere dalla fiscalità generale o di raccogliere il denaro dalle bollette degli utenti. Si prospettano quindi aiuti di Stato per gli emettitori sulle spalle dei cittadini? Non esattamente. Questo allarme, emerso nel dibattito, è nato dalla confusione tra “operanti” e “nuovi entranti”. Lo sforamento di cui si parla nella relazione e i relativi fondi da reperire si riferiscono infatti ai “nuovi entranti” cioè quegli impianti che hanno iniziato a produrre dopo che il Piano nazionale per le emissioni era stato stabilito.

Come ha sottolineato in una recente intervista all’APCOM il commissario europeo all’Ambiente, Dimas, non sarebbe accettabile che lo Stato aiuti le aziende che sforino la quota di emissioni assegnata loro, mentre invece i nuovi entranti hanno pieno diritto a che il pubblico si faccia carico dei loro permessi, non avendo avuto quote assegnate all’interno del Piano nazionale per le emissioni.

Il Piano, infatti, prevede una quota di permessi riservata ai nuovi impianti: 16,63 Mton su un totale di 201,63 Mton. Solo che i nuovi entranti, secondo le previsioni, dal 2008 di milioni di tonnellate di gas serra ne emetteranno 70: appunto 56 in più del previsto. Evidentemente la riserva di emissioni per i nuovi entranti è stata sottostimata.

Perché questo è accaduto? Si è consentito ad autorizzare impianti che si sapeva avrebbero sforato a spese del pubblico? “È fondamentale che si stabiliscano criteri per l’assegnazione delle quote gratuite che considerino l’efficienza in termini di emissione di CO2 degli impianti – sottolinea a proposito il direttore di Legambiente – sarebbe assurdo e inaccettabile che queste quote venissero assegnate a una centrale a carbone come quella di Civitavecchia che, una volta entrata in funzione, da sola emetterà oltre 10 milioni di tonnellate di CO2 l’anno.”

E se si fosse prevista una quota più ampia per i nuovi entranti? “La storia – ci spiega una nostra fonte di un’istituzione energetica – è sempre quella della coperta troppo corta: dato il totale limitato, una riserva maggiore per i nuovi entranti avrebbe significato meno permessi da dividere tra gli operanti”. Evidentemente si è preferito dare di più all’inizio agli impianti già operanti (che devono pagare di tasca loro se sforano) e ora dobbiamo farci carico tutti per quelli entrati in funzione dopo.

Giulio Meneghello

7 settembre 2009

 
 
 
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