Allarme Iea su prezzi e declino dell’offerta di petrolio

  • 4 Agosto 2009

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Fatih Birol, capo economista dell'International Energy Agency, ha lanciato un nuovo allarme: la crescita rapida dei prezzi del petrolio bloccherebbe definitivamente la ripresa economica. I governi devono capire che l'era del petrolio facile e a basso prezzo è ormai tramontata.

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Il prezzo del barile del petrolio è in ascesa. Mentre scriviamo è a 70,47 $. Abbiamo fatto i conti con un barile nuovamente a 150 $? Oggi sarebbe un fatto drammatico. Su questo aspetto Fatih Birol, capo economista dell’International Energy Agency, ha dichiarato ieri all’Indipendent, che “prezzi più elevati del petrolio dovuti ad un più rapido aumento della domanda e ad una stagnazione, se non addirittura un declino, nell’offerta potrebbero soffocare la ripresa economica“.

Per Birol molti governi sembrano aver dimenticato che il petrolio, su cui si basa tutta la civiltà moderna, si stia esaurendo molto più velocemente di quanto si potesse pensare poco tempo fa e che la produzione mondiale è probabile che raggiunga il suo picco entro 10 anni, una decade in anticipo rispetto ai tempi stimati dalla maggior parte dei governi.

Per capire cause ed effetti della rapida riduzione dell’offerta del petrolio e perché questa situazione possa affossare l’agognata ripresa delle economie mondiali, Birol ricorda che le valutazione su oltre 800 campi petroliferi nel mondo, che rappresentano i tre quarti delle riserve globali, hanno portato al riscontro che la gran parte dei giacimenti più grandi hanno già raggiunto il proprio picco (nei paesi non-Opec è già stato superato) e che il tasso di declino della produzione sta correndo ormai ad una velocità quasi doppia rispetto a quanto calcolato solo due anni fa. La IEA ha stimato infatti che il declino della produzione petrolifera nei pozzi esistenti sta procedendo ad un tasso del 6,7% annuale. Nel 2007 si valutava erroneamente che fosse del 3,7%.
A questo si aggiunga il fatto che ci sono scarsissimi investimenti nella direzione dell’estrazione e che i pochi paesi che detengono le maggiori riserve, come quelli del medio-oriente (oggi hanno una quota del 40% delle riserve), cresceranno notevolmente nei prossimi anni e avranno quindi più bisogno di petrolio per il mercato interno.

La preoccupazione per la Iea è che davanti ad un simile quadro dal precario equilibrio nei prossimi cinque anni, ma già in alcuni casi subito dopo il 2010, ci troveremo di fronte ad un “oil crunch“, con conseguenze che potrebbero essere in molti paesi estremamente pesanti per l’economia.
Come spiegò il capo economista dell’agenzia solo alcuni mesi fa (vedi articolo Qualenergia.it), illustrando gli scenari energetici futuri, “anche in presenza di una domanda stabile di petrolio al 2030, il mondo avrebbe bisogno di trovare l’equivalente di quattro Arabie Saudite per mantenere la produzione”. Un’impresa pressoché impossibile (vedi anche video).
Rivolgere poi l’attenzione e gli investimenti al petrolio pesante (sabbie o scisti bituminosi, ecc.) creerebbe un grave danno ambientale e accelererebbe l’altra crisi in atto, quella climatica.

Da tempo Fatih Birol lancia un avvertimento, rivolgendolo soprattutto ai paesi più industrializzati: “Prima abbandoniamo il petrolio meglio sarà“. Ci vorrà tempo e denaro per realizzare questa transizione, ma tutto ciò deve essere messo in cima all’agenda della comunità mondiale, ma qualche mese di prezzi del barile basso hanno fatto scordare questa imprescindibile emergenza, che qualcuno pensa stoltamente di affrontare con qualche centrale nucleare.

LB

4 agosto 2009

 

 

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