Per presentare le loro idee nei giorni scorsi decine di scienziati, economisti, attivisti di Ong o semplici cittadini sono sfilati davanti a una commissione composta tra gli altri dal professor Prof Hans Joachim Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, da Dan Reicher, direttore del settore cambiamenti climatici di Google.org, da Bryony Worthinton, direttore di Sandbag.org e da Chris Goodall, giornalista del Guardian e di carboncommentary.com. Tra le proposte selezionate molte già note e riconosciute, altre particolarmente audaci e innovative, alcune semplici ed applicabili altre più complicate da realizzare e proiettate in un futuro possibile.
L’ingegnere marino Mark Capron di PODenergy, ad esempio, propone una variante per la produzione di carburanti dalle alghe: creare negli oceani foreste di una certa alga che, raccolta, verrebbe digerita in “stomaci” artificiali, enormi borse di plastica collocate in mare, producendo metano e CO2: l’anidride carbonica verrebbe stoccata in profondità, mentre il metano convogliato a terra per essere usato come combustibile. Adibire il 4% dell’oceano alla coltivazione di alghe secondo Capron potrebbe far assorbire il 70% della CO2 prodotta dagli umani e favorirebbe il ripopolamento ittico, ma la sua proposta non è certo tra quelle di più immediata applicazione.
Grandi potenzialità, ma altrettanto grandi dubbi, suscitano anche le altre proposte “geoingegneristiche”: come quella di aggiungere calce agli oceani per diminuirne l’acidità e aumentarne così la capacità di assorbire CO2 o quella del professor Stephen Salter della University of Edinburgh, che propone di aumentare taglia e albedo delle nuvole, sparando acqua vaporizzata in atmosfera da una flotta di imbarcazioni energeticamente autosufficienti e controllate in remoto. C’è poi chi propone che nelle centrali dotate di tecnologia per la cattura della CO2, quando saranno una realtà consolidata, si bruci anche biomassa, arrivando così ad un processo a bilancio negativo di gas serra. Una proposta alternativa allo stoccaggio per usare l’anidride carbonica prodotta dai processi di combustione è invece quella del polacco Marcin Gerwin: tramite il processo (già sperimentato) della “fotosintesi artificiale” convertire il gas serra in metanolo da usare come combustibile.
Altra soluzione per togliere la CO2 dalla circolazione, la pirolisi della biomassa con relativa produzione di biochar. Si tratta di bruciare in assenza d’ossigeno scarti agricoli, legna o ramaglie ottenendo così il carbone vegetale detto biochar, nel quale il carbonio resta sequestrato in maniera stabile e che diventa anche un ottimo fertilizzante: un processo a CO2 negativo che aumenta anche la fertilità dei suoli (si veda anche articolo di Qualenergia.it sull’ultima stufa pirolitica inventata in Italia). Legata al mondo agricolo anche un’altra proposta: quella di diminuire lo sfruttamento dei suoli – e aumentarne dunque la capacità di assorbire il gas serra tramite l’erba – adottando modalità più sostenibili di pascolo del bestiame.
Non mancano poi le speranze nelle nuove rinnovabili: oltre che del solare a concentrazione si è parlato di come sfruttare l’energia di maree e correnti sottomarine e si sono illustrate le potenzialità dell’Enhanced Geotermal Power: la geotermia “potenziata” che con perforazioni di qualche chilometro riesce ad ottenere acqua alla temperatura di 150-200 gradi. Tra gli scienziati intervenuti c’è anche chi spera in un nucleare senza alcune delle controindicazioni della tecnologia attuale: usando il torio al posto dell’uranio si risolverebbero in parte problemi come il rischio di proliferazione atomica e di esplosione, la scarsità del combustibile e si avrebbero meno scorie, spiega Kirk Sorensen.
Ma le proposte più interessanti sono probabilmente quelle più “politiche”: come quella degli Energy Bonds, una forma di azionariato diffuso per investire nelle rinnovabili o quella di un programma di leasing per mezzi più ecologici. Per Louise Carver di Population and Sustainability Network (PSN) fondamentale per il pianeta è disinnescare la bomba demografica, garantendo a tutti l’accesso alla pianificazione familiare. La psicoterapeuta Rosemary Randall, invece, ha osservato come anche chi ben conosce il rischio del global warming spesso faccia ben poco per ridurre la propria impronta e ha così studiato le Carbon Conversations: un percorso in sei lezioni basato su emozioni e identificazione per aiutare le persone a cambiare stile di vita.
GM
15 luglio 2009