Il rinascimento zoppicante del nucleare

  • 18 Giugno 2009

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Il Massachussets Institute of Technology pubblica l'aggiornamento del suo report sull'atomo di sei anni prima. Dopo questo lasso di tempo è chiaro che il "rinascimento nucleare" non sta avvenendo e a frenarlo c'è soprattutto la poca convenienza economica. Solo a forza di incentivi il nucleare potrebbe avere un futuro.

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Che fine ha fatto l’annunciato rinascimento nucleare mondiale? C’è un documento pubblicato da poco che fa il punto della situazione e che può aiutare a rispondere alla domanda. Si tratta dell’aggiornamento 2009 (vedi allegato) del rapporto del Massachussets Institute of Technology (MIT), The future of nuclear power, pubblicato nel 2003. La risposta la anticipiamo in parte: le prospettive dell’atomo nel 2009 sono molto meno rosee di quello che si era stimato sei anni fa.

Le premesse per uno sviluppo del nucleare ci sarebbero: urgenza di ridurre le emissioni e cattura della CO2 ancora in alto mare, la necessità di aumentare l’offerta di elettricità per alimentare mezzi elettrici, ecc. L’atomo non sembra però essere all’altezza delle aspettative. Nel 2003 il MIT stimava che per fare in modo che il nucleare potesse dare un contributo significativo, il 20% del fabbisogno elettrico mondiale, si sarebbe dovuto arrivare a 1.000 gigawatt al 2050: un obiettivo che l’aggiornamento del report 2009 dichiara praticamente impossibile da raggiungere.

Dal 2003 ad oggi – si legge nel rapporto – la costruzione di nuovi reattori è infatti praticamente in stallo e, al momento, sono in costruzione 44 reattori soprattutto in Cina, Russia, India e Corea. Negli Usa, dei 26 reattori di cui dal 2003 ad oggi sono stati presentati i progetti, nessuno ha ancora aperto un cantiere: nel modo occidentale, dunque, in 30 anni non sono stati completati nuovi impianti (i lettori di Qualenergia.it ben conoscono la travagliata esperienza degli unici due in costruzione in Europa).

In questi sei anni, spiega il report, non è stato fatto alcun progresso sul versante dello smaltimento delle scorie, attualmente irrisolto. Anzi, per quel che riguarda gli Usa, dove l’ipotesi del sito di stoccaggio nazionale di Yucca Mountain è stata bocciata dall’amministrazione Obama, la soluzione è ancora più distante che nel 2003. In quanto alle scorte di uranio, il rapporto del MIT è invece più tranquillizzante; anche se gli ultimi dati esaustivi risalgono agli anni ’80 e da allora manca un lavoro completo di sondaggio delle risorse, si conferma quanto scritto nel 2003: la produzione cresce più del consumo e per i prossimi 50 anni ci dovrebbe essere abbastanza uranio per una crescita che arrivi anche a realizzare 1000 centrali al 2050. Diverso il discorso per il riprocessamento del combustibile: oltre al problema della proliferazione degli armamenti atomici, il rapporto ne mette in luce la dubbia convenienza economica.

Ma il principale problema per cui il nucleare non sta crescendo, sottolinea il report MIT, è quello economico: negli ultimi anni la stima dei costi per una centrale è aumentata del 15% ogni anno. Nel 2003 il MIT valutava, facendo una media tra i vari paesi in cui sono stati avviati dei progetti, un costo overnight (senza costi dei finanziamenti, in genere molto ingenti per progetti di larga scala) di 2.000 dollari a kW; nell’aggiornamento 2009 la cifra è rivista a 4.000 $: un costo da confrontare con i 2.300 per kW del carbone e gli 850 per il gas naturale. (Moody’s parla addirittura di 7.700 dollari per il kW da nucleare, mentre le stime del DOE americano sono passate dai 2.400 circa del 2008 ai 3.300 del 2009, si veda articolo Qualenergia.it).

L’aggiornamento del MIT sei anni dopo dà una risposta chiara alla domanda iniziale: il rinascimento nucleare non sta avvenendo e il contributo che questa fonte può dare in futuro sarà probabilmente scarso. A ostacolare questa tecnologia non è “l’ambientalismo del No”, stigmatizzato dai nostri esponenti di Governo, né i problemi di sicurezza che l’accompagnano, bensì la scarsa convenienza economica.
A penalizzare il nucleare nella realtà statunitense (dove comunque gode già di incentivi pubblici e agevolazioni sui finanziamenti), scrivono gli esperti del MIT, il fatto che non sia stato incluso nei programmi di incentivazione destinati alle altre fonti low-carbon. Tradotto: l’unica speranza di rendere competitivo l’atomo sarebbe sovvenzionarlo come se fosse una fonte pulita al pari di eolico o solare, cosa alquanto difficile da giustificare all’opinione pubblica.

GM

17 Giugno 2009

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