Tutti i soldi raccolti con la Contribution climat énergie – secondo il disegno originale – verranno divisi in parti uguali e redistribuiti ai cittadini francesi con un assegno, per ora quantificato indicativamente in 130 euro all’anno: in questo modo chi a fine anno avrà consumato molti combustibili fossili ci rimetterà, avendo pagato in carbon tax più dell’assegno annuale e, viceversa, chi avrà consumi più ridotti avrà un guadagno netto.
Che la carbon tax sia uno strumento valido per raggiungere gli obiettivi del 2020, come anticipavamo, pochi giorni fa lo ha spiegato anche, il prossimo Presidente di turno Ue, Fredrik Reinfeldt, premier della Svezia dove una misura analoga è stata introdotta efficacemente già nel 1991. In una conferenza stampa a Bruxelles, pur senza specificare il livello a cui la tassa potrebbe essere introdotta ha sottolineato che la carbon tax “funziona, dà segnali all’economia di mercato su cosa ridurre” e, inoltre, è particolarmente adatta a questo periodo di crisi e di mancanza di risorse per combattere il cambiamento climatico, dato che a differenza di altre misure non va a incidere sui budget pubblici.
La carbon tax è rientrata a pieno titolo tra le misure che gli Stati membri stanno considerando per ridurre le emissioni. Più volte su queste pagine abbiamo parlato di questo strumento, raccontando la visione di sostenitori e critici. Uno tra i promotori della carbon tax, ad esempio, è il climatologo simbolo della lotta al global warming, James Hansen: “un prezzo crescente per le emissioni – scrive Hansen – è essenziale perché funzionino le altre politiche per il clima. Il metodo più efficace è far pagare le emissioni già alla fonte, tassando cioè petrolio, gas e carbone. La tassa a quel punto andrà a colpire tutte le attività e i prodotti che utilizzano le fonti fossili. Le scelte di breve, medio e lungo termine del pubblico saranno così influenzate dalla consapevolezza che questa tassa sulle emissioni sarà destinata a crescere.” I vantaggi sarebbero, quindi, semplicità e trasparenza della misura che favorirebbe un cambio delle abitudini di consumo. D’altra parte i critici sottolineano, che la misura, oltre al fatto di pesare sulle bollette energetiche di cittadini e aziende in modo uguale sia in periodi di recessione che in tempi di crescita, non permetterebbe di programmare adeguatamente il quantitativo di emissioni da tagliare.
Da segnalare però il fatto che il dibattito finora è sempre stato sulla carbon tax come alternativa a uno schema “cap and trade”, del tipo ETS: in quest’ottica la tassa aveva trovato anche sostenitori improbabili come i vertici di Exxon Mobil. Nel caso francese o di altri Stati europei la carbon tax andrebbe invece ad integrare e non a sostituire lo schema comunitario di scambio delle emissioni, che copre solo alcuni settori, arrivando dunque a disincentivare anche quel 62% delle emissioni (secondo i dati dei Ministri francesi) che l’ETS non tocca: da quelle dei trasporti, a quelle dei consumi domestici fino a quelle delle attività produttive non soggette alle quote europee. Staremo a vedere come evolverà l’iniziativa francese e se troverà altri imitatori in Europa.
GM
12 giugno 2009