L’obiettivo rinnovabili ripartito tra Regioni

  • 15 Maggio 2009

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Si torna a parlare di burden sharing. Ecco allora alcune proposte operative per la ripartizione regionale degli obiettivi nazionali di incremento delle fonti rinnovabili al 2020. Un paper di Niccolò Cusumano e Arturo Lorenzoni dello IEFE, Università Bocconi.

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L’anno delle regioni, così Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e allora consigliere del Ministro per lo Sviluppo Economico definiva il 2008 riferendosi alla disposizioni della legge finanziaria 2008 che prevedeva entro 90 giorni la ripartizione, per mezzo di decreti del Ministero dello Sviluppo Economico, tra regioni e province autonome dell’obiettivo di produzione del 25% dell’energia elettrica entro il 2012. Attribuendo al Governo, in caso di inadempienza da parte delle regioni, compiti di sorveglianza e il potere sostitutivo. Nel frattempo il Governo cadde, si andò alle elezioni e il cosiddetto “burden sharing” finì nel dimenticatoio (assieme alle linee guida nazionali per l’iter autorizzativo degli impianti di rinnovabili previste dall’articolo 12 del D.lgs. 387/03) per poi riapparire sotto nuove vesti nell’art. 8-bis della legge di conversione del decreto sulle risorse idriche e protezione ambientale emanata il 27 febbraio 2009.

La nuova norma prevede che i Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico individuino insieme alla Conferenza Stato Regioni (sempre entro 90 giorni) la “quota minima di incremento dell’energia prodotta con fonti rinnovabili per raggiungere l’obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro il 2020” tenendo conto:
a) della definizione dei potenziali regionali tenendo conto dell’attuale livello di produzione delle energie rinnovabili;
b) dell’introduzione di obiettivi intermedi al 2012, 2014, 2016 e 2018 calcolati coerentemente con gli obiettivi intermedi nazionali concordati a livello comunitario;
c) della determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione nei casi di inadempienza delle regioni per il raggiungimento degli obiettivi individuati.

Il 6 aprile scorso il Consiglio Europeo adottava, infine, la proposta di direttiva sulle rinnovabili licenziata dal Parlamento Europeo il 17 dicembre 2008. Essa sancisce per l’Italia un impegno a produrre entro il 2020 il 17% del suo consumo finale lordo (quota che nel 2005 era pari al 5,2%) da fonti di energia rinnovabile e obbliga gli Stati Nazionali a presentare entro il 30 giugno 2010 i piani d’azione nazionale per perseguire il proprio obiettivo .

Sarà forse il 2009 ad essere quindi l’anno delle regioni? Un impegno sfidante, come quello sottoscritto dall’Italia in sede Europea impone di mettere in campo quanto prima tutti gli strumenti per perseguirlo. Il “burden sharing”, definendo un parametro su cui giudicare e confrontare l’operato del livello di governo titolare dei poteri di autorizzazione e di pianificazione , la regione, può rappresentare un forte stimolo, se definito in modo razionale e coerente. Facendo attenzione a non cadere nell’illusione che una volta attribuito l’obiettivo questo si perseguirà da sé. Sarà fondamentale l’impegno di ogni singola regione di creare tra gli enti locali, province e comuni (e al proprio interno) un comune “sense of purpose”, per evitare i veti contrapposti. È importante, soprattutto, che tali obiettivi non siano percepiti come un’imposizione di qualcuno a danno di qualcun altro, né un fine in sé.

Per quanto ambizioso, l’obiettivo che le regioni devono assumersi è una grossa occasione di valorizzazione delle risorse interne in termini di conoscenze, capitale, lavoro, considerando che, a prescindere dalla metodologia di ripartizione adottata, tutte hanno la possibilità tecnica di conseguirlo.
Proponiamo un metodo di ripartizione dell’obiettivo, che mostreremo fattibile alla luce dei potenziali regionali da noi individuati. Partiamo illustrando il metodo seguito dalla Commissione Europea nella ripartizione del 20% tra Stati Membri. Sostanzialmente esso si articola nel seguente modo:

1. sulla base del modello PRIMES è stato previsto il consumo finale lordo UE 2020, su cui si è calcolata la quota del 20% di rinnovabili, che ammonta a 254,1 Mtep. A questa si sottrae la quota 2005 (101,9 Mtep) identificando così lo “sforzo” (152,2 Mtep).
2. Metà di questo sforzo (76,1 Mtep) viene assegnato in percentuale uguale a tutti gli Stati, con un “flat rate” del 5,5% di incremento rispetto alla produzione 2005;
3. L’altra metà divisa per la popolazione UE in modo da identificare uno “sforzo per cittadino”, da ponderare per un indice basato sul PIL pro capite, in modo che il cittadino di uno stato ricco in termini di PIL pro capite, sostenga uno sforzo maggiore dell’abitante di uno stato più povero. Questo sforzo ponderato viene, infine, moltiplicato per la popolazione di ogni Stato membro per identificare lo sforzo per paese in Mtep.
4. Le due componenti vengono sommate alle rinnovabili 2005 per identificare il target espresso in quota percentuale del consumo finale d’energia.

Come si vede, l’approccio seguito esclude dal computo il potenziale, privilegiando una ripartizione basata su chi paga, cioè su un principio di equità, lasciando aperta la possibilità di accordi tra Stati sullo scambio delle quote.
La nostra proposta per le regioni italiane semplifica il calcolo, pur tenendo in considerazione quattro criteri di ripartizione: PIL, popolazione, consumo di energia e superficie regionale, a cui si possono ricondurre la disponibilità a pagare, il potenziale (termico ed elettrico), il contributo alla necessità di incrementare la produzione di energia rinnovabile. Il criterio è il seguente:

1. Sulla base della previsione di consumo finale lordo 2020, 145,3 Mtep (a prescindere dagli effetti degli interventi di efficienza energetica auspicabili), abbiamo calcolato la quota del 17%di rinnovabili 2020, ossia 24,7 Mtep, a questa abbiamo sottratto le rinnovabili 2005 (7,3 Mtep) per ottenere lo “sforzo nazionale” di 17,4 Mtep, che corrisponde a 0,3 tep pro capite di incremento dal 2005 al 2020.
2. Si è ripartito lo sforzo nazionale secondo i quattro fattori individuati: il PIL regionale 2007, ripartendo lo sforzo in base alla quota di ogni regione del PIL italiano; la popolazione regionale; la superficie regionale; il consumo energetico finale regionale, ricavando per ognuno dei criteri uno sforzo regionale in Mtep.
3. Si è calcolato un incremento obiettivo come media dei quattro incrementi con pesi pari ad un quarto ciascuno (ma pesi diversi si possono applicare se si ritiene preferibile),
4. Si è confrontato l’incremento ottenuto con la nostra stima sul potenziale economico (inferiore di molto al potenziale tecnico) corrispondente a 18,06 Mtep, di poco superiore, quindi, allo sforzo richiesto di 17,4 Mtep. Infatti, l’incremento necessario da noi stimato al 2020 trova corrispondenza nella stima effettuata del potenziale realizzabile al 2020, pari a 4,56 Mtep di energia elettrica e 13,5 Mtep di energia termica.
I risultati sono esposti nella tabella e nel grafico (pdf) dove per confronto si riporta anche la produzione rinnovabile del 2004.

Come si può constatare gli obiettivi così ripartiti sono coerenti con i potenziali stimati e certamente raggiungibili, con politiche di indirizzo mirate. Nei casi in cui l’obiettivo sia superiore al potenziale economico stimato occorre fare due considerazioni: la prima è che la quota stimata non ha tenuto conto delle possibili azioni di efficienza energetica, che potrebbero ridurre sostanzialmente l’obiettivo in termini assoluti; in secondo luogo si potrebbero mettere in atto meccanismi di cooperazione tra regioni per “scambiare” quote di produzione rinnovabile, in modo analogo ai trasferimenti statistici in via di definizione in Europa con la nuova Direttiva sulle fonti rinnovabili in corso di approvazione. Le regioni eccedentarie potrebbero perciò “cedere” con un accordo il proprio surplus alle regioni in deficit.

La definizione del target richiede però adeguate politiche di attuazione. A nostro avviso è urgente e indispensabile collegare un meccanismo incentivante al raggiungimento degli obiettivi. Coerentemente alla strategia comunitaria anche la legge italiana ha tracciato una linea di progressione con delle tappe intermedie di verifica ogni due anni, il cui rispetto potrebbe portare a un “premio”. In primo luogo si può stabilire per legge che le sanzioni imposte all’Italia saranno ripartite in modo proporzionale alla distanza dal target di ciascuna regione. Per dare maggiore incisività, è ipotizzabile nel prossimo ciclo di fondi strutturali (2013-2020) istituire una riserva di premialità per il raggiungimento degli obiettivi sulle rinnovabili, magari negoziando la possibilità di reindirizzare dei fondi verso le regioni che si dimostrano più virtuose. A livello provinciale e comunale si potrebbe, inoltre, agire sull’addizionale ai consumi di energia elettrica: oggi essa è trattenuta nel territorio in cui viene riscossa. Si può pensare ad un meccanismo redistributivo a livello regionale, che incrementi le entrate ricevute dagli enti di una regione in caso di raggiungimento del target e le riduca nel caso di mancati investimenti (con valori medi per tutte le provincie di una regione); in caso contrario si potrebbe pensare di vincolarne il gettito (per una quota corrispondente alla distanza dall’obiettivo) alla realizzazione di interventi sulle rinnovabili.

Si è proposto un criterio oggettivo di ripartizione dell’obiettivo nazionale di incremento dell’uso di fonti rinnovabili, semplice e coerente con le stime di potenziale, flessibile per consentire di allocare gli investimenti ove i costi di investimento siano minori. Al tempo stesso è proposto un meccanismo di enforcing basato sulla premialità che può essere estremamente convincente se supportato politicamente. Ma per rispettare le richieste europee ed evitare dolorose penali il vero fattore scarso è il tempo: in un modo o nell’altro è indispensabile agire subito.

Niccolò Cusumano e Arturo Lorenzoni – IEFE, Università Bocconi

13 maggio 2009

 

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