Il carbone quasi pulito della Regina

  • 26 Aprile 2009

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Il ministro dei cambiamenti climatici britannico annuncia che tutte le nuove centrali a carbone dovranno prevedere il sequestro e la cattura della CO2. Ma da subito per un quarto delle loro emissioni e totalmente solo nel 2025. Molto le perplessità da parte degli ambientalisti.

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Per il carbone nel Regno Unito non ci sarà più molto spazio. O almeno non ci sarà per le nuove centrali termoelettriche alimentate a carbone che non prevedano l’utilizzo della tecnologia CCS, cioè il sequestro e la cattura della CO2. Lo ha stabilito ieri il governo britannico e fatto annunciare da Ed Milliband, ministro per i cambiamenti climatici e l’energia (vedi BusinessGreen.com).
Nella realtà tutte le nuove centrale a carbone dovrebbero poter dimostrare da subito di essere in grado di catturare entro il 2025 il 100% dell’anidride carbonica prodotta. Per quanto riguarda l’immediato, praticamente a partire dal loro primo giorno di operatività, ogni nuova centrale a carbone deve invece potere catturare e sequestrare almeno il 25% delle emissioni. Potremmo dire meglio, come ha detto il ministro britannico, che la cattura deve essere immediatamente totale per una potenza parti a 400 MW, in genere un quarto di quella di una centrale termoelettrica tipo.

Poiché il costo di una nuova centrale a carbone con CCS potrebbe venire a costare circa 1 miliardo di sterline e pesare sulla bolletta elettrica dei cittadini, il governo britannico sta valutando un sostegno finanziario per questi progetti attraverso l’introduzione di una imposta fissa su tutta la generazione elettrica da fonti fossili. Un’imposta che potrebbe aumentare il costo della bolletta di almeno il 2% (8 sterline per famiglia all’anno). Alcuni ritengono che questo surplus potrebbe essere “devoluto” solo ai primi quattro impianti dimostrativi. Un’alternativa di finanziamento è quella di pagare le compagnie energetiche in base a quanta CO2 riescono a stoccare sottoterra. Altri finanziamenti (circa 300 milioni di euro) potrebbero arrivare dall’Unione Europea e qualche preoccupazione potrebbe nascere dal futuro schema di emissions trading del dopo 2012 che potrebbe prevedere benefici alla CCS, affievolendo così lo strumento e facendo crollare le quotazione dei certificati di riduzione.
I costi potrebbero comunque lievitare ulteriormente se, come spererebbe il direttore del National Grid, Steve Holliday, l’anidride carbonica venisse trasportata nelle profondità del Mare del Nord grazie a speciali condutture.

Se da una parte i gruppi ambientalisti sono confortati da una politica governativa che attua un cambio di rotta rispetto al passato, mette al centro i cambiamenti climatici e la riduzione delle emissioni di gas serra (vedi finanziaria verde britannica – pdf) e chiede alle compagnie elettriche di pensare al carbone solo in caso di uso della tecnologia CCS (in verità ancora tutta da provare), dall’altra si rendono conto che le emissioni da carbone potranno ancora avere un pesantissimo impatto nel paese per gli anni a venire.
Infatti, per ogni tonnellata di CO2 catturata e sequestrata da una nuova centrale, ce ne sono tre che verranno rilasciate in atmosfera, e almeno fino al 2025. “Questo quadro non consente – dice John Sauven direttore di Greeapece UK su The Guardian – di abbassare la guardia nei confronti del peggiore nemico, tra le fonti fossili, dei cambiamenti climatici”.

Milliband ha spiegato che è inutile insistere sulla cattura e lo stoccaggio al 100% a partire da oggi perché non è praticabile tecnicamente ed economicamente. Il direttore della NASA, James Hansen, riconosciuto scienziato di primo piano sulle tematiche climatiche, ha invece dichiarato che non dovrebbe mai essere rilasciato il permesso di costruzione a nessuna centrale a carbone senza un totale utilizzo della CCS e a partire dal suo primo giorno di funzionamento.
Ma come dice il ministro “la tecnologia deve ancora dimostrare di funzionare su grande scala”. Ed è su questa criticità che puntano gli oppositori della “carbon capture and sequestration” ponendo alcune questioni: se ad esempio la CCS non funzionerà come si aspettano i suoi sostenitori in che modo può oggi il governo assicurare che non ci si troverà a dover gestire in futuro un’eredità pesante che continuerà a gravare sulle emissioni del paese? E se alcuni impianti a carbone, attualmente in funzione, come quello di Drax, saranno ancora operativi fin dopo il 2020, potranno continuare ad emettere CO2 senza alcun accorgimento?
Secondo i calcoli di Greenpeace UK riferiti ai quattro impianti a carbone dimostrativi con l’eventuale utilizzo della CCS, le emissioni di CO2 che emetterebbero sarebbero pari a 275 milioni di tonnellate di CO2, considerando un tempo di attività di 15 anni, cioè prima che vengano costretti a seppellire tutta la CO2 che producono.

In questi giorni, la società energetica Scottish Power avrebbe chiesto al governo di supportare un impianto retrofit CCS per la propria centrale di Longannet, sulla costa est della Scozia. Se potesse essere adattato un impianto CCS a questa centrale, dicono i responsabili della utility, non ci sarebbe il bisogno di realizzare nuove centrali a carbone per dimostrare la potenziale fattibilità della tecnologia. Il direttore generale della Scottish Power a questo proposito ha detto, quello che in fondo tutti sanno: “Nel mondo ci sono oltre 50 mila centrali alimentate a fonti fossili e se non possiamo applicarvi un sistema di cattura della CO2, allora qualsiasi cosa faremo per le nuove centrali sarà del tutto irrilevante”.

Non va poi dimenticato che sono molti gli esperti internazionali indipendenti che hanno sostenuto che la Gran Bretagna è in grado di soddisfare il proprio fabbisogno di energia puntando sulle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, e che quindi non ci sarebbe alcun bisogno di nuovi impianti a carbone o nucleari.
E’ di un certo interesse allora rivedere il rapporto pubblicato dal Centre for Alternative Technology (CAT) dal titolo “Zerocarbonbritain” che illustrava un possibile scenario energetico del Regno Unito, con tutte le soluzioni politiche e tecnologiche in grado di ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica del Paese nell’arco di 20 anni. E’ interessante notare che le tecnologie considerate nello studio erano solo quelle conosciute e provate.

LB

24 aprile 2009

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