La policy italiana per l’energia pulita

  • 20 Aprile 2009

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Pubblichiamo l'introduzione di Gianni Silvestrini al "Codice delle Energie Rinnovabili e dell'Efficienza Energetica 2009". Un excursus delle recenti politiche e delle legislazione italiana nel settore.

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La definizione di norme, incentivi e obbiettivi sul versante delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica ha coinvolto in modo crescente, in particolare nell’ultimo decennio, i diversi livelli istituzionali: europeo, nazionale, regionale, provinciale e comunale.
La preoccupazione sul versante dei cambiamenti climatici e degli impatti ambientali in senso lato ha condizionato in maniera decisiva le scelte comunitarie di politica energetica. Ma anche la sicurezza degli approvvigionamenti e le implicazioni economiche legate alla consapevolezza della fine dell’era dell’energia a basso costo hanno contribuito a plasmare le grandi decisioni.
In relazione al variare del contesto internazionale, di volta in volta uno di questi tre aspetti ha assunto un peso più rilevante condizionando le politiche generali. Il global warming ha fortemente influenzato le strategie europee, fino a tracciare un percorso legalmente vincolante con la definizione degli obbiettivi al 2020 sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione dei gas climalteranti.

D’altra parte alcune inquietanti decisioni della Russia, tesa a recuperare un peso nel mondo grazie alla disponibilità di ingenti risorse energetiche, hanno preoccupato l’Europa evidenziando la vulnerabilità degli approvvigionamenti del gas.
Infine la crisi finanziaria, accompagnata dalla forte variabilità delle quotazioni dei combustibili fossili, sta riportando l’attenzione sulla variabile economica.
In realtà le attuali strategie risentono di tutte queste preoccupazioni e la politica tenta di definire un percorso di mediazione ad alto livello. Cosa non facile, perché spesso si tratta di trovare un equilibrio tra preoccupazioni che porterebbero a scelte divergenti. Per esempio, sul breve e medio periodo le fonti rinnovabili vanno incentivate, ma questo determina un aumento del costo dell’energia all’utente finale. D’altra parte, una scelta di forte stimolo delle energie verdi si giustifica per i suoi positivi aspetti ambientali, occupazionali e – sul lungo periodo – anche economici, considerando la riduzione dei costi delle tecnologie e il contemporaneo aumento dei prezzi dei combustibili fossili.

Fatte queste premesse, vediamo come l’Italia si è mossa per favorire le politiche sull’efficienza energetica e le fonti rinnovabili.
Le leve utilizzate sono di carattere economico, prescrittivo ed autorizzativo, oltre a riguardare l’informazione, la formazione e la ricerca. Prima di passare in rassegna alcuni provvedimenti va segnalato un elemento di debolezza che si è ripetuto in più occasioni e che aveva già caratterizzato in passato la legge 10/91. E cioè che qualificanti impegni previsti da decreti legislativi non sono diventati operanti a causa della mancanza dei decreti attuativi, depotenziando in tal modo notevolmente l’efficacia delle norme stesse.
Per incentivare rinnovabili ed efficienza il primo governo Prodi, alla fine degli anni Novanta, aveva sposato un’impostazione in sintonia con il nascente processo di liberalizzazione del mercato dell’energia. Ecco quindi la definizione di obbiettivi crescenti nel tempo di energia verde per i produttori di energia elettrica e invece di risparmio di energia per i distributori di elettricità e gas. Per raggiungere questi target era prevista l’attivazione anche di altri operatori, con una competizione economica tra diversi soggetti imprenditoriali e tra un mix di tecnologie. La creazione dei “certificati verdi” e “certificati bianchi” – legati rispettivamente alla produzione di fonti rinnovabili e al risparmio di energia – doveva rappresentare lo strumento per affidare al mercato l’identificazione delle soluzioni tecnologiche con il minor costo economico. Lo stesso valore dei certificati avrebbe dovuto variare in relazione al rapporto tra domanda e offerta.

In realtà le cose non sono andate nel modo migliore, in particolare per le fonti rinnovabili. Ormai c’è una consapevolezza ampia, come dimostrano le recenti analisi della IEA, che hanno funzionato meglio, sia in termini di percentuale di elettricità verde immessa in rete che di costo complessivo per il Paese, gli strumenti come le “feed in tariffs”, con la Germania antesignana e formidabile protagonista, strumenti che prevedono un riconoscimento fisso all’energia immessa in rete diversificato per tecnologia.
In realtà va considerato il fatto che la formulazione delle norme è stata condizionata dall’azione di lobbies che in varie occasioni sono riuscite a far valere i propri interessi stravolgendo l’impostazione iniziale.
Generalmente la formulazione degli incentivi e le modalità di realizzazione degli impianti nel nostro Paese sono piuttosto complessi. Va comunque osservato che una parte della “complicazione” delle norme deriva dalla preoccupazione di abusi da parte di spregiudicati operatori che non sono mancati anche nel recente passato.

Ma, a parte stravolgimenti e appesantimenti, si deve ammettere che una delle ragioni della debolezza dei certificati verdi sta nell’eccessiva diversità dei costi tra le diverse tecnologie, tale da impedire una reale gara. Probabilmente questo strumento dovrebbe essere impiegato in una fase più matura delle rinnovabili, con costi minori e tendenzialmente convergenti.
Le proposte contenute nell’ultima legge finanziaria in qualche modo partono da questa riflessione e propongono il modello tedesco per gli impianti sotto 1 MW e una riformulazione del funzionamento dei certificati verdi.
In realtà, a partire dal 2005 anche in Italia è stato introdotto il “conto energia” per il fotovoltaico che, sostanzialmente, ricalca l’approccio tedesco.
Un aspetto delicato riguarda il possibile impatto sulle tariffe elettriche, considerato che su di esse si riversano i costi dell’incentivazione. Occorre quindi governare con sapienza la progressiva riduzione nel tempo del riconoscimento economico se si vogliono raggiungere obbiettivi ambiziosi, quali sono quelli del 2020.

Questa è la ragione che ha portato nel 2008 i Governi tedesco e spagnolo a ridurre gli incentivi al fotovoltaico. Nel nostro Paese è prevista una riduzione del 2% nel 2009, ma tagli ben più incisivi sono da prevedere per gli anni successivi.
Anche per quanto riguarda le altre tecnologie occorre valutare attentamente la sostenibilità economica in relazione a una progressiva forte crescita della potenza installata. E’ possibile che una volta fissato con chiarezza l’impegno italiano sulle rinnovabili al 2020 (la proposta iniziale della Commissione era, ricordiamolo, del 17% sui consumi finali rispetto al 5,2% del 2005) il sistema delle incentivazioni venga ripensato ispirandosi al modello tedesco, con costi decrescenti in modo da garantirne il raggiungimento minimizzando i costi. Si parla di un testo unico delle rinnovabili per superare la frammentarietà normativa di cui spesso il settore è vittima e di un intervento di semplificazione delle procedure, da definire d’intesa con le Regioni.

Ma per ridurre l’impatto economico occorrerà affrontare l’altro aspetto delicato che riguarda gli iter autorizzativi, modalità e tempi di allaccio alla rete elettrica che attualmente sono assolutamente insoddisfacenti. E’ stato calcolato che le complicazioni dell’iter italiano comportano un sovracosto del 20-25% sul prezzo dell’elettricità verde, dato che tiene conto anche del fatto che molti progetti non arrivano alla fase della realizzazione e che si è creato un mercato delle autorizzazioni, con uffici competenti saturi e tempi di approvazione dilatati.
In questo campo sono stati fatti recentemente diversi sforzi. Un ruolo particolare è stato svolto dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas con le definizione di iter, tempi, sanzioni sugli allacciamenti, con le nuove regole tecniche di connessione per gli impianti fotovoltaici, ecc. Anche da parte del Governo sono venute misure per tentare di risolvere questi nodi, ma spesso con un atto forte, come un decreto legislativo, cui non sempre è seguita la normativa secondaria di attuazione.

Con il decreto legislativo 387/2003 ad esempio si è introdotta la procedura dell’autorizzazione unica. In mancanza di uno schema comune e condiviso a livello di Conferenza unificata Stato – Regioni – Enti locali prevale però la proliferazione di iter amministrativi regionali e provinciali differenziati.
Poche Regioni, a oggi, hanno seguito l’esempio della Puglia o della Sicilia, che si sono dotate di una normativa che chiarisce quale sia l’iter autorizzativo per lo sviluppo delle rinnovabili. Le Linee guida nazionali volte ad assicurare un corretto inserimento degli impianti che utilizzano fonti rinnovabili nel paesaggio, di cui si parla dal lontano 1999 e previste dal dlgs. 387/2003, hanno avuto un iter tormentato per l’opposizione del Ministero dei Beni culturali ai vari testi che si sono susseguiti nel tempo. Questo ha comportato, in assenza di un’indicazione certa nazionale, atti di indirizzo diversificati a livello regionale, arrivando a posizioni di vera moratoria.
Ci sono stati nel tempo diversi tentativi di semplificazione, come quella introdotta dalla legge Finanziaria 2008 per i piccoli impianti (eolici fino a 20 kW, fotovoltaici fino a 60 kW, idro fino a 100 kW, biomasse fino a 200 kW e biogas fino a 250 kW) che possono essere realizzati attraverso una semplice Dia – denuncia inizio attività – al Comune. Nel dlgs. 115/2008 si è poi arrivati all’eliminazione della Dia per le installazioni solari termiche o fotovoltaiche complanari alla coperture di edifici. Considerando le centinaia di migliaia di applicazioni previste nei prossimi anni, si tratta di un piccolo importante segnale che, tra l’altro, favorirà un migliore inserimento estetico delle tecnologie solari.

Sul versante dell’efficienza energetica siamo in presenza di un quadro più coerente ed efficace, in particolare nel campo dell’edilizia. Il recepimento della direttiva sui consumi degli edifici ha rappresentato l’occasione per definire livelli prestazionali più elevati nelle nuove costruzioni, tanto che la richiesta di energia per il riscaldamento di un edificio realizzato nel 2010 sarà circa le metà rispetto ai livelli richiesti nel 2005. E’ previsto anche l’obbligo di sistemi fotovoltaici e dell’impiego delle rinnovabili per coprire il 50% della domanda di acqua calda per usi sanitari (anche se manca ancora il decreto di attuazione della norma).

Per quanto riguarda la riqualificazione energetica dell’edilizia esistente, il provvedimento varato nella legge Finanziaria 2007 e confermato con miglioramenti in quella dell’anno successivo, con la possibilità di effettuare la detrazione fiscale del 55% del costo degli interventi, rappresenta un importante strumento di intervento.
Come pure risulta incisiva un’altra opzione per riqualificare il patrimonio edilizio esistente: la certificazione energetica degli edifici. Anche in questo caso però è mancata, dopo la sua introduzione nella norma primaria, l’emanazione dei decreti in grado di disciplinare modalità e sanzioni a livello nazionale. In questo vuoto le Regioni più attive approvano proprie normative – creando disparità territoriali – mentre le altre non intervengono. Soprattutto va sottolineata la gravità della norma contenuta nella legge del 6 agosto 2008, n. 133, che ha cancellato l’obbligo di allegare la certificazione energetica degli edifici agli atti di compravendita e locazione, creando ulteriore confusione nel settore e tra le Regioni (come nel caso di Lombardia ed Emilia e Romagna che avevano già legiferato).

Ma lo strumento che nei prossimi anni è destinato a svolgere il principale ruolo di promozione delle azioni di efficienza energetica riguarda l’obbligo di riduzione dei consumi in capo ai distributori di energia elettrica e gas. Uno strumento che sta funzionando bene, pur tra alcuni scompensi iniziali, che ha già portato a riduzioni dei consumi per 2 Mtep a partire dal 2005, corrispondenti al consumo domestico annuo di una città con 2,7 milioni di abitanti e alla produzione di 3 centrali termoelettriche di media grandezza. Nei prossimi anni ci si aspetta un contributo decisamente più alto, considerando che gli obbiettivi sono stati recentemente innalzati a 6 Mtep/a al 2012. Gli interventi che verranno realizzati, direttamente dai distributori o attraverso le Esco, consentiranno di ridurre di 12 Mt/a le emissioni di CO2 nel quinquennio di Kyoto, una quantità importante, in grado di limitare il gap di 64 Mt/a che ci separa dall’obbiettivo assunto.

Un’analisi delle politiche energetiche non può non soffermarsi sul ruolo delle Regioni. Ma qual è l’attuale situazione della gestione energetica a livello decentrato? Il panorama è abbastanza disomogeneo con alcune realtà eccellenti, ma altre disimpegnate. Un quarto delle Regioni non ha ancora approvato in via definitiva il proprio Piano energetico ambientale, uno strumento previsto da più di 15 anni. Nei prossimi mesi però tutte le Regioni dovranno fare uno sforzo particolare per impostare o rivedere i Piani alla luce degli ambiziosi obbiettivi al 2020 decisi in sede europea. Pensiamo solo alla crescita prevista per le fonti rinnovabili, che dovrebbero triplicare il proprio contributo nel giro di 13 anni.
Un primo salto di qualità dell’azione regionale riguarderà quindi la diffusione dell’energia verde. La legge Finanziaria 2008 prevede infatti che vengano definiti i target regionali sulla produzione da fonti rinnovabili e che le Regioni adeguino i propri piani energetici. Questa sfida andrà affrontata in modo intelligente per riuscire a sfruttare le ricadute che potranno derivare sul versante della ricerca e della creazione di nuove industrie verdi. Occorrerà infatti creare le condizioni più favorevoli per attrarre investimenti nel proprio territorio e divenire protagonisti della rivoluzione energetica che si è innescata.

Si apre una competizione che riguarda l’Italia rispetto agli altri Paesi che stanno facendo ponti d’oro per le imprese più innovative. Il Governo tedesco ad esempio ha distribuito, in forma di sussidi, oltre 600 M€ solo negli ultimi tre anni per la creazione di nuove industrie fotovoltaiche. L’Italia ha messo in campo circa 200 M€ con il programma di innovazione “industria 2015”. Ma la competizione riguarderà anche le diverse Regioni che ambiscono a svolgere un ruolo di punta in questo settore. Chi riuscirà a elaborare la proposta più credibile in termini di risorse finanziarie, procedure autorizzative, soluzioni logistiche, collegamenti con centri di ricerca, potrà infatti avvantaggiarsi dell’attuale irripetibile situazione (pensiamo alle risorse dei fondi comunitari 2007-13) e creare “distretti delle rinnovabili”, “poli solari”, ecc.
Il coinvolgimento delle Regioni non si potrà comunque limitare alle rinnovabili, ma dovrà riguardare l’aumento dell’efficienza energetica, considerando che il decreto legislativo 115/2008 prevede, analogamente al settore delle rinnovabili, una distribuzione di obbiettivi su scala regionale, e più in generale la riduzione delle emissioni dai gas climalteranti.

Considerando che i settori industriali maggiormente emissivi sono già regolamentati sulla base della Direttiva sull’Emissions trading, l’attenzione andrà concentrata sugli altri comparti (industria leggera, edilizia, trasporti, agricoltura) sui quali le Regioni hanno una maggiore possibilità di intervento. Efficienza energetica, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, forestazione potranno quindi divenire le aree per le quali è ragionevole la definizione di obbiettivi di riduzione coerenti con gli impegni nazionali.
Sul risparmio energetico le Regioni potranno svolgere un ruolo importante per orientare gli interventi e per amplificare gli obbiettivi legati ai certificati bianchi con risorse proprie.
Nel settore dei trasporti, il più in controtendenza in termini di emissioni climalteranti, l’efficacia dell’azione locale risulta fondamentale, specialmente per la mobilità urbana.
Anche nella forestazione, infine, da cui ci si aspetta un ulteriore taglio pari un settimo del gap di Kyoto, il ruolo regionale sarà decisivo.
E’ poi probabile che le Regioni, come già sta avvenendo in qualche esperienza virtuosa, dividano gli obbiettivi sulle rinnovabili e l’efficienza su scala provinciale. Si potrebbe quindi innescare un processo virtuoso volto a premiare anche economicamente i territori più impegnati e a penalizzare le istituzioni locali prive di risultati su questo versante.

Di tutti questi temi si parla ne Il Codice delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica 2009, la cui documentazione rappresenta una preziosa guida per tutti coloro che devono operare nel settore delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. La speranza è che questo manuale possa aiutare a comprendere opportunità e procedure attualmente previste ai vari livelli istituzionali e, contemporaneamente, che il quadro normativo futuro vada verso una decisa semplificazione.
Gli ambiziosi obbiettivi al 2020 impongono infatti un salto di qualità nelle politiche di incentivazione ed in quelle autorizzative. L’auspicio è che la prossima versione della Guida contenga norme che aiutino il mondo delle rinnovabili a compiere quel deciso salto di qualità che la rivoluzione energetica in atto richiede.

Gianni Silvestrini

20 aprile 2009

Il Codice delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica 2009
Legislazione, Delibere dell’autorità, Giurisprudenza, Prassi, Norme regionali

a cura di Redazione normativa di Edizioni Ambiente, Alessandro Bianco, Barbara Pozzo
2008 – pagine: 1968 – euro 75,00 – ISBN 978-88-89014-81-3

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