Una cattura piccola piccola

  • 9 Aprile 2009

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Nel sud della Francia questo mese entrerà in funzione un impianto che sequestrerà la CO2 di una centrale a gas. Un piccolo passo avanti per una tecnologia su cui alcuni grandi gruppi energetici ripongono molte speranze. Ma la strada è ancora lunga e la CCS non può essere una scusa per continuare con i combustibili fossili.

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La cattura della CO2 starebbe per fare un passo avanti. Il primo progetto pilota a unire tutte le fasi della cattura e dello stoccaggio del gas serra su una scala considerevole dovrebbe essere operativo entro il mese. A dare la notizia il Guardian (anche se manca ancora l’annuncio ufficiale di Total che sta portando avanti il progetto). Si tratta di un impianto all’interno della centrale a gas di Lacq, nel sud della Francia.
L’unico altro esperimento di ciclo completo della CCS finora è quello realizzato l’anno scorso all’interno della centrale a carbone di Schwarze Pumpe, di proprietà Siemens, in Germania, dove  si è equipaggiato con tecnologia CCS un impianto a carbone da 12 MW. Ora a Lacq la CO2 catturata sarà quella emessa da un impianto che produce 30MW di elettricità dal gas. Il progetto, costato 60 milioni di euro, sequestrerà 60mila tonnellate di CO2 ogni anno che saranno stoccate a 4.500 metri di profondità in un adiacente giacimento di gas ora vuoto.

La tecnologia che si usera sarà quella detta “oxyfuel”, in cui il combustibile fossile è bruciato in un atmosfera ricca d’ossigeno, producendo come residuo quasi esclusivamente vapore acqueo e CO2, che si può così facilmente separare e sequestrare. A rendere le cose più semplici, a Lacq , il fatto che per iniettare l’anidride carbonica nel giacimento esausto si useranno le condutture già esistenti con cui si estraeva il gas quando questo era attivo (l’impianto è illustrato chiaramente in questa animazione dal sito Total).

Una notizia, questa della messa in moto del nuovo progetto pilota, accolta con soddisfazione da chi ripone in questa tecnologia le speranze di fermare il riscaldamento globale continuando a contare sui combustibili fossili. Nelle visioni più ottimistiche la CCS potrebbe neutralizzare il 90% delle emissioni delle centrali a fonti sporche, compensando così l’incremento previsto del numero di impianti a carbone. Diversi i governi che stanno investendo risorse ingenti in questo campo: tra i più attivi quelli di Norvegia, Canada, Australia, Regno Unito e Usa. L’Unione Europea da parte sua ha riservato 300milioni di euro dai proventi della prossima fase del mercato delle emissioni per costruire 12 progetti pilota sulla CCS.

Grandi aspettative dunque, alimentate anche da conquiste tecnologiche come quella di Lacq, ma il momento in cui la cattura della CO2 sarà operativa su larga scala pare essere ancora lontano: secondo l’IPCC difficilmente questo accadrà prima del 2050. Molti gli ostacoli da superare, primo tra tutti quello economico: in Inghiltrerra si è stimato che equipaggiare una centrale con tecnologia CCS non costi meno di un miliardo di sterline. Oltre ai costi di realizzazione, poi, bisogna considerare che una centrale con cattura della CO2 disperde nel processo fino al 40% dell’energia prodotta e consuma il 90% di acqua in più rispetto a una convenzionale.

Dal punto di vista economico la tecnologia applicata a Lacq (l’oxyfuel) sarebbe la più conveniente tra quelle di cui si parla, perché ridurrebbe i costi legati alla separazione dell’anidride carbonica che – secondo quanto dichiarano i responsabili del progetto al Guardian – costituirebbero i due terzi del costo di esercizio di un impianto CCS. Anche sul lato dello stoccaggio però le questioni da risolvere per la tecnologia sono diverse: se a Lacq, come detto, le condotte erano già pronte e la cavità da riempire è vicina, a livello generale i costi per trasportare la CO2 nei siti individuati sono stati stimati in un milione di sterline per miglio di conduttura, una soluzione spesso impraticabile economicamente.

Oltre a questo non mancano le obiezioni sulla sicurezza dello stoccaggio: secondo un dossier pubblicato da Greenpeace l’anno scorso, se i serbatoi naturali in cui si seppellirebbe la CO2 avessero perdite anche solo dell’1%, gli effetti positivi sul clima sarebbero vanificati (senza contare che nessuno sa se ci siano sufficienti cavità sotterranee per l’anidride carbonica che si dovrebbe immagazzinare). I test, si legge sul dossier, hanno già evidenziato come potrebbero verificarsi imprevisti: ad esempio, la CO2 può corrodere gli stessi materiali da cui dovrebbe essere imprigionata. I possibili effetti di fuoriuscite potrebbero creare danni agli ecosistemi e alla salute o inquinare falde acquifere, non è un caso – rimarca Greenpeace – che le industrie siano restie a investire sulla CCS senza garanzie di non dover rispondere di eventuali danni futuri.

A Lacq l’impianto pilota funzionerà per due anni, dopo di che si verificherà la tenuta del deposito naturale e se ci saranno state fughe di anidride carbonica. La cattura della CO2 dunque ha fatto un piccolo passo avanti, anche se su una strada lunga e in salita. Un segnale positivo per la lotta al global warming solo a patto che – come avverte anche Greenpeace – le speranze legate a questa tecnologia non diventino la scusa per proseguire sulla strada delle fonti sporche, mantenere questo oligopilio, sottraendo energie ad altre soluzioni, attuabili subito e con molti meno effetti collaterali, come la diffusione su grande scala delle generazione distribuita.

GM

10 aprile 2009
 
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