Norvegia, fondi pensione verdi e petrolio

  • 9 Aprile 2009

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La Norvegia investe in tecnologie verdi oltre 2 miliardi dal fondo di previdenza statale. Una scelta in linea con le politiche contro il riscaldamento globale in cui il paese è in prima linea, anche finanziate vendendo gas e petrolio. Qualche contraddizione sugli obiettvi al 2030.

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Puntare su efficienza, rinnovabili e altre tecnologie verdi per far fruttare i soldi dei cittadini. Il governo norvegese ha annunciato in questi giorni un investimento di 20 miliardi di corone – circa 2,3 miliardi di eurodel fondo pensionistico nazionale in tecnologie pulite. Un’iniezione di liquidità notevole per un mercato, quello dei fondi d’investimento verdi, che in questo primo trimestre del 2009 ha risentito molto dela crisi, segnando un calo del 48% dopo un anno record per investimenti.
Denaro che andrà in progetti di risparmio energetico e fonti pulite, ma anche tecnologie per la depurazione dell’acqua, gestione dei rifiuti, sequestro della CO2 e iniziative che promuovano la sostenibilità nelle economie emergenti. È la manifestazione di una strategia nuova nei criteri d’investimento del fondo pubblico norvegese: oltre a puntare sul verde ci saranno requisiti etici più stringenti sulle aziende da finanziare (ad esempio, niente più multinazionali del tabacco) e si è disposto uno studio dell’impatto del global warming sulla finanza.

Che i fondi d’investimento previdenziali e istituzionali, dopo la scottatura della crisi finanziaria, scelgano sempre più di puntare su progetti che garantiscano, oltre al ritorno economico, altre ricadute positive, come quelle ambientali, lo abbiamo già raccontato su queste pagine. L’annuncio norvegese ne è sicuramente un esempio interessante: uno dei paesi che deve di più alle fonti fossili ha capito la necessità di puntare sulle alternative. D’altra parte è proprio la ricchezza di petrolio del paese che sta finanziando gli investimenti verdi.
I 225 miliardi di euro del fondo per la previdenza della Norvegia – quarto produttore mondiale di greggio e terzo per il gas – provengono infatti proprio dai ricavi della vendita dei combustibili fossili. Una contraddizione quella norvegese tra ricchezza da fonti fossili e scelte verdi, ben raccontata in un servizio dell’Economist. Tra le nazioni che con più decisione spingono per un accordo post Kyoto, prima di aderire da esterna al mercato europeo delle emissioni, la Norvegia è stata uno dei primi paesi al mondo a tassare la CO2, già nel 1991. Il governo di centrosinistra attualmente in carica ha recentemente annunciato che il paese sarà carbon-neutral nel 2030.

A vantaggio del paese scandinavo il fatto che può già contare sulle rinnovabili – soprattutto grazie all’idroelettrico – per il 98-99% del suo fabbisogno elettrico. Oltre a questo il paese finora ha adottato una serie di politiche decise per ridurre le emissioni: ad esempio ha tasse tra le più alte in Europa su auto e benzina, mentre dispone di un trasporto pubblico d’eccellenza, il cui budget quest’anno dovrebbe essere raddoppiato. Gli investimenti in rinnovabili e cattura della CO2 sono massicci (con circa 1,2 miliardi di dollari stanziati l’anno scorso solo per le fonti pulite). Si incentiva la popolazione a usare legna e altra biomassa per il riscaldamento e si è portata avanti una campagna per l’efficienza energetica negli edifici, con standard severi.

Le compagnie statali che estraggono gas e petrolio in Norvegia stanno investendo anche su eolico off-shore e altre forme di energia dal mare e hanno pratiche di estrazione relativamente sostenibili: Statoil, ad esempio, dichiara emissioni per barile estratto che sono il 37% della media mondiale. Uno sforzo quindi nella battaglia per il clima c’è, anche accompagnato da una certa lungimiranza politica, come dimostrano gli investimenti verdi del fondo pensione. Il problema, dicono i critici, è che queste politiche sono finanziate con i proventi delle fonti sporche e la Norvegia sta continuando le esplorazioni per produrre ancora più petrolio (l’ultimo grande giacimento è stato scoperto qualche settimana fa).

Anche l’obiettivo di essere carbon neutral al 2030, infatti, sarebbe raggiungibile solo grazie ai proventi del greggio e del gas venduti. Va detto che la CO2 rilasciata in atmosfera, nonostante le misure prese, dal 1991 ad oggi è cresciuta del 12%, arrivando a 55 milioni di tonnellate l’anno. Secondo il programma governativo le emissioni dovrebbero essere ridotte a 35 milioni di tonnellate al 2020 per poi essere azzerate entro il 2030: 10-13 milioni di tonnellate sarebbero eliminate in patria ma, almeno fino a che tecnologie come il sequestro della CO2 non saranno operative, il resto dovrà essere compensato. Anche finanziando progetti all’estero, sempre pagati con i proventi da fonti fossili. Insomma, la Norvegia potrebbe permettersi di essere pulita in casa solo perché, in pratica, esporta emissioni. Una contraddizione difficilmente contestabile, ma certo che se tutti i produttori di greggio usassero i propri utili come fa il paese dei mille fiordi la lotta al global warming sarebbe un po’ meno complicata.

GM

9 aprile 2009
 
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