Cosa c’è sul piatto negli accordi post-Kyoto

  • 7 Aprile 2009

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A Bonn stanno discutendo due gruppi di lavoro sui negoziati che riguardano il nuovo accordo sul clima e gli obiettivi di paesi industrializzati e in via di sviluppo al 2020 e al 2050 che verrà portato a Copenhagen a dicembre. Leonardo Massai, presente a Bonn, ci informa sull'andamento dei lavori.

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I due gruppi di lavoro istituiti nel 2005 a Montreal e chiamati a discutere e disegnare il futuro del regime internazionale dei cambiamenti climatici, il gruppo di lavoro sulla cooperazione a lungo termine nell’ambito della Convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici (Working Group on Long-term Cooperative Action – AWG LCA) e il gruppo relativo al protocollo di Kyoto (Working Group on the Kyoto Protocol – AWG KP), sono riuniti a Bonn dal 29 marzo fino al 9 Aprile 2009, rispettivamente per la quinta e settima sessione di lavoro.

I lavori di questa sessione riguardano i negoziati delle parti finalizzati a fornire dettagli e indicazioni necessarie per la presentazione della prima bozza di testo del nuovo accordo sul clima agli organi sussidiari in riunione a Bonn dal 1 al 12 giugno 2009. In base all’articolo 20(2) del protocollo di Kyoto la bozza di giugno sarà discussa, emendata e/o migliorata nei sei mesi di tempo che condurranno alla conferenza delle parti di Copenhagen nel dicembre 2009, chiamata a pronunciarsi sul futuro del protocollo. I principali temi in discussione a Bonn che rispecchiano il contenuto dell’eventuale nuovo accordo sul clima sono:

  • forma giuridica del nuovo accordo sul clima;
  • obiettivo aggregato di lungo termine di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra per i paesi industrializzati (2050);
  • obiettivi individuali a medio termine di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra per i paesi industrializzati (2020);
  • obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra per i paesi in via di sviluppi con un elevato tasso di sviluppo economico (Brasile, India, Cina, ecc.);
  • modifica e miglioramento dei meccanismi flessibili; 
  • modifica delle norme the regolamentano l’utilizzo, il monitoraggio e il conteggio delle attività forestali;
  • inclusione di nuovi gas ad effetto serra, settori e fonti nell’ambito di applicazione del protocollo di Kyoto;
  • finanziamento e trasferimento tecnologico verso i paesi in via di sviluppo.
Due considerazioni principali evidenziano la difficoltà e complessità degli attuali negoziati e giustificano la comprensibile ansia dei delegati in vista dell’ottenimento di un soddisfacente risultato finale per il clima e la salute del pianeta.
La prima riguarda la forma attuale dei negoziati che riflette la natura del regime internazionale sui cambiamenti climatici, ossia il doppio binario che dal 1997, anno di adozione del protocollo di Kyoto, caratterizza gli sforzi internazionali di riduzione delle emissioni dei gas climalteranti. Esso prevede, da una parte la Convenzione, che impone principi e obiettivi generali, dall’altra il protocollo di Kyoto, che stabilisce obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per i paesi industrializzati.
Tale sistema ha da sempre contribuito ad alimentare ambiguità soprattutto in relazione al fatto che un paese come gli Stati Uniti partecipa attivamente ai negoziati relativi ai temi della Convenzione, mentre solo da osservatore riguardo a tutto ciò che concerne il protocollo di Kyoto. Negli attuali negoziati per il periodo post-2012 questa divisione di organi, gruppi e ambiti di discussione complica il negoziato e ciò è dovuto alla stretta correlazione dei temi in discussione e il rischio di un continuo ping pong tra i due livelli, finalizzato a ritardare il più possibile ogni tipo di decisione, è molto alto.

La seconda importante considerazione riguarda il negoziato relativo ai numeri, ossia gli obiettivi di riduzione: i paesi in via di sviluppo (gruppo dei 77 e Cina) puntano all’adozione di obblighi vincolanti significativi per i paesi industrializzati nell’ambito del gruppo di lavoro sul protocollo di Kyoto. Al contrario, i paesi sviluppati puntano all’adozione di obiettivi di riduzione anche per i più importanti paesi in via di sviluppo. A tal fine è necessario modificare la lista dei paesi “allegato I” e questa partita si gioca nell’ambito dei lavori del gruppo di lavoro sulla Convenzione.
Per quanto concerne i cosiddetti numeri, si intravedono le prime indicazioni informali delle parti, sebbene abbastanza approssimative. A tale riguardo, nella migliore delle ipotesi, il negoziato e il tira e molla ci accompagnerà fino alle ultime ore del summit di Copenhagen quando, con molta probabilità, la decisione finale sul livello di ambizione della parti sarà nelle mani e nella testa delle diplomazie mondiali.

La distanza in relazione ai due obiettivi aggregati, uno al 2020 e l’altro al 2050, è ancora enorme, per non parlare delle prime timide indicazioni relative agli obiettivi individuali dei paesi industrializzati. Come la proposta di alcuni paesi in via di sviluppo di introdurre un obiettivo di riduzione aggregato di almeno 45% al 1990 entro il 2020 e di un nuovo allegato B che contenga obblighi vincolanti individuali assai stringenti per i paesi industrializzati. Tra questi, da notare la proposta di riduzione nei confronti dell’Italia: 21% al 2017 e 47% al 2022 rispetto ai livelli del 1990. Pura fantascienza per un paese che tra il 1990 e il 2006 ha visto aumentare del 9,9% le proprie emissioni di gas serra. Per fortuna esiste l’Unione europea che garantisce negoziatori e conoscenza adeguata e raccoglie sotto il suo ombrello anche paesi come l’Italia. Inoltre, il tabù di nuovi obiettivi vincolanti di riduzione per i più importanti paesi in via di sviluppo è ancora intoccabile, merito delle agguerrite e preparatissime delegazioni brasiliana, indiana e cinese.

Tuttavia ad oggi, la forma che il futuro regime sui cambiamenti climatici potrebbe assumere a Copenhagen appare tutt’altro che definita: un maxi emendamento all’attuale protocollo di Kyoto? Un fantomatico nuovo protocollo che comprenda molte delle istanze del doppio binario Convenzione-Protocollo (accordo di Copenhagen)? Una non decisione e, quindi, un ennesimo rinvio? Il timore e in alcuni casi la speranza di centinaia di delegati riguarda l’ultima opzione e non lascia ben sperare la possibilità che l’attuale meeting di Bonn possa aggiungere al programma già fitto, che prevede due settimane di negoziati a Bonn in giugno, due a Bangkok ad ottobre oltre al summit finale di Copenhagen a dicembre, un’altra settimana a Bonn ad agosto e 2 settimane (non a Bonn) a novembre.

Leonardo Massai

7 aprile 2009

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