Produzioni energivore

  • 5 Aprile 2009

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I nuovi processi produttivi sprecano fino a un milione di volte più energia di quelli tradizionali, rileva uno studio dell'MIT. Si consuma di più per produrre un microchip che per forgiare un copri-tombino. Occorre ottimizzare i metodi di produzione, anche in vista dei rincari dell'energia e di leggi anti-emissioni.

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I metodi di produzione moderni sono incredibilmente inefficienti in quanto a uso dell’energia e delle materie prime. È quanto emerge da uno studio in cui è stato analizzato l’uso dell’energia in 20 diversi processi produttivi condotto dal Massachussets Institute of Technology (MIT) e pubblicato sul Journal of Environmental Technology .
Nel complesso i processi produttivi più recenti consumano da mille a un milione di volte più energia per unità di peso del prodotto delle produzioni tradizionali. L’incremento dell’intensità energetica è conseguenza soprattutto dell’introduzione di nuove lavorazioni, anziché di cambiamenti nei processi di fabbricazione tradizionali. Per produrre un microchip si usa più energia che per forgiare un copri-tombino.
A prima vista la comparazione tra processi produttivi così diversi può sembrare strana, ma l’autore dello studio, il professor Timothy Gutowski del Dipartimento di ingegneria meccanica del MIT spiega che questi paragoni sono un primo passo essenziale per ottimizzare i processi produttivi relativamente nuovi che si stanno dispiegando su scala sempre più vasta.
Un esempio che lo studio fa è quello dei pannelli solari: una produzione che condivide una parte dei processi necessari alla produzione dei microchip e che sta crescendo anno dopo anno. L’inefficienza dei metodi attuali di fabbricazione dei modulo pesa molto sul bilancio energetico calcolato sull’intero ciclo di vita del prodotto, cioè l’energia prodotta dal pannello una volta installato decurtata da quella impiegata per produrlo.

I dati rilevati dalla ricerca, che ha preso in considerazione una vasta gamma di produzioni – da quella dell’acciaio ai nanomateriali – sarebbero un punto di partenza per capire quali sono i processi più inefficienti per poi migliorarli. Ad esempio, la vaporizzazione sottovuoto per applicare materiali su altri sprecherebbe molta più energia che non l’applicazione diretta del prodotto in forma liquida. Le stime dei consumi in realtà – fanno notare gli autori – sono in difetto, perché non si considera l’energia necessaria alla produzione delle materie prime e al mantenimento dei luoghi di produzione (ad esempio l’uso dell’aria condizionata); se si conteggiassero anche queste componenti il bilancio sarebbe ancora peggiore.

Il modo in cui le nuove produzioni usano materie prime ed energia “è allarmante – sottolinea Gutowski – e va corretto per poter sostenere che i prodotti realizzati in questo modo siano sostenibili”. Il problema, spiega lo studio è che – complice un lungo periodo con prezzi dell’energia e delle materie prime bassi – ci si è preoccupati più degli altri costi di produzione, qualità e tempi. Il problema dell’energia però, fa notare l’autore, potrebbe assumere un peso diverso con un probabile rincaro dei prezzi dei combustibili e con l’introduzione di leggi molto stringenti sulle emissioni climalteranti.

GM

5 aprile 2009
 
 
 
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