Dinosauri nell’era Obama

  • 20 Marzo 2009

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Exxon Mobil, la più grande società petrolifera mondiale, continua a investire solo su petrolio e gas, snobbando le fonti rinnovabili. Per alcuni una strategia miope e suicida in un mondo che, Usa in testa, vorrebbe liberarsi dai combustibili fossili.

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Tra le grandi del petrolio Exxon Mobil è sempre stata la più restia a investire in rinnovabili, come pure ad ammettere il riscaldamento globale antropogenico. Ora però la multinazionale deve fare i conti con un tipo diverso di “cambiamento climatico”, quello avvenuto all’interno della Casa Bianca: ce la farà Exxon a sopravvivere a Obama?
Inizia così un interessante servizio di Condé Nast Portfolio sulla compagnia petrolifera più grande del mondo. Nel 2008 Exxon Mobil ha registrato il profitto più alto della storia, 32 miliardi di dollari, ma – secondo il mensile d’affari – il futuro dell’azienda sarebbe messo in pericolo dalla visione retrograda e incentrata sui combustibili fossili dei suoi vertici.

Una visione inadeguata in un mondo in cui alla scarsità della risorsa si aggiungono nuove politiche che penalizzeranno i combustibili fossili. A partire appunto da quelle degli Stati Uniti di Barack Obama, che ha dichiarato apertamente di voler far uscire il paese dalla dipendenza dal petrolio. Le misure del neopresidente contro i combustibili sporchi, d’altra parte, non si contano: dalla prevista introduzione di un sistema per far pagare le emissioni, all’impegno per ridurre i consumi ad esempio imponendo di costruire auto più efficienti, fino al taglio di alcune tra le agevolazioni fiscali di cui godono i petrolieri (vedi articolo Qualenergia.it). Inoltre Obama vuole eliminare completamente entro il 2018 le importazioni di oro nero da Venezuela e Medio Oriente (il 27% delle importazioni Usa), e proprio Exxon è il più grande importatore di greggio dal Golfo Persico (40% delle sue importazioni).

Di fronte a tutto questo però la multinazionale fondata da John D. Rockefeller sembra non voler affatto cambiare strada. La compagnia estrae e vende petrolio con profitti maggiori rispetto a tutte le altre grandi: il ritorno economico del capitale impiegato nel 2007 ha superato di ben il 40% quello della rivale più vicina, Chevron. Comprensibile che i combustibili fossili restino l’ago della bussola e che si neghi ogni elemento che possa mettere in dubbio questa visione: riscaldamento globale, declino delle risorse petrolifere, necessità di investire su fonti alternative.
Nelle previsioni fatte da Exxon, ad esempio, le rinnovabili al 2030 soddisferanno solo il 2% del fabbisogno energetico mondiale, mentre il mondo continuerà a contare per più dell’80% della sua sete di energia su gas, carbone e petrolio, con le emissioni che cresceranno del 28%. Se attualmente i vertici dell’azienda hanno dichiarato di preferire una carbon tax a un sistema cap and trade per ridurre i gas serra, Exxon Mobil d’altra parte esprime ancora dubbi sulla responsabilità umana del global warming. Secondo Greenpeace, dal 1998 al 2006 la compagnia ha speso 23 milioni di dollari per finanziare gruppi che negavano il riscaldamento globale antropogenico e tuttora le spese di propaganda continuano.

Quanto a fonti rinnovabili Exxon è l’unica tra le grandi del petrolio a essersi tenuta in pratica completamente fuori dal settore. Nel 2008 ha speso 26 milioni di dollari per gas e petrolio, 32 per ricomperare le sue stesse azioni e solo 4 per la ricerca su fonti alternative. Il rifiuto di investire nelle energie pulite, perché non redditizie senza incentivi pubblici, è sempre stato un punto fermo della politica aziendale e la corporation continua costruire il suo futuro unicamente sui giacimenti di gas e petrolio.
Giacimenti che però sono in fase di declino produttivo o particolarmente difficili da sfruttare. Il grosso delle reserve di petrolio di Exxon per il futuro – spiega infatti il mensile americano – si trova sui fondali profondi dell’Artico difficili da raggiungere, o intrappolato in formazioni geologiche come quelle del Colorado che richiedono anch’esse un procedimento di estrazione particolarmente laborioso.

Altra grande fetta delle riserve della compagnia è costituita dalle sabbie bituminose canadesi, dalle quali si ottiene petrolio solo con altissimi costi economici, energetici e ambientali. Per quanto riguarda il gas, i giacimenti ancora da sfruttare contengono gas di tipo “sour” cioè carico di sostanze tossiche (acido solfidrico) particolarmente costose da rimuovere. Tutte riserve redditizie solo con costi dell’energia molto alti, la multinazionale cioè starebbe già raschiando il fondo del barile.

Insomma, in un mondo che cerca di accantonare i combustibili fossili, Exxon Mobil resta aggrappata al passato, rischiando di fare la fine dei dinosauri: non a caso l’amministratore delegato della compagnia Rex Tillerson è stato soprannominato nell’ambiente della green economy americana “il T-Rex dell’era fossile”. Nonostante i profitti record, infatti, le azioni della corporation sono scese del 17% dall’inizio dell’anno scorso e la dirigenza deve fronteggiare un’opposizione interna che chiede di cambiare strada, differenziando gli investimenti e aprendo alle rinnovabili (vedi articolo Qualenergia.it). Neva Rockefeller Goodwin, la discendente del fondatore che guida gli azionisti “ribelli” (circa il 10%) per descrivere la politica aziendale attuale, concentrata solo su petrolio e gas, ha usato un’espressione efficace: si tratterebbe di una “visione aziendale a tunnel”.

GM

20 marzo 2009
 
 
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