Interessi ed errori dell’atomo italiano

  • 14 Marzo 2009

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Il ritorno dell'Italia all'atomo è irrealistico, i reattori Epr sono una scelta sconsiderata, il nucleare non serve al nostro sistema energetico e non sopravviverebbe in un sistema liberalizzato. Un'intervista al professor Angelo Baracca.

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Mercoledì scorso il Ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola riferiva alle commissioni per le attività produttive di Camera e Senato sull’accordo di collaborazione in materia di nucleare con la Francia, parlando di centrali pronte tra 8-10 anni e affermando che “ci sarà concorrenza anche fra i territori” per ospitare una centrale.
Abbiamo colto l’occasione per parlare del futuro del nucleare in Italia con il professor Angelo Baracca, docente di fisica all’Università di Firenze, esperto di nucleare e autore del libro “L’Italia torna al nucleare. I costi, i rischi, le bugie” (Jaco Books, 2008).

Professor Baracca, il ministro Scajola mercoledì, riferendo in parlamento sull’accordo nucleare con la Francia ha parlato di “3-4 anni” per sbrigare la parte normativa e “altri 5-6” per costruire le centrali. Quanto è realistico il piano nucleare italiano?
Non credo affatto sia realistico e a mio parere si risolverà in un insuccesso e in un pessimo affare. Innanzitutto l’Italia non ha più le competenze sul nucleare che aveva una volta. Competenze che non si possono ripristinare in quattro e quattr’otto, anche considerando come il Governo sta smantellando università e ricerca. Nel nucleare ogni aspetto tecnico va curato con standard di qualità eccezionali, dalle saldature, all’acciaio, al cemento. Neanche le aziende della Francia, paese che più ha a coltivato queste competenze, hanno dimostrato di essere all’altezza: si vedano i ritardi e i costi lievitati dei 2 reattori Epr in costruzione. In Italia le cose sarebbero ancora più gravi e non avremmo neanche alcun vantaggio visto che dovremmo comperare tutta la tecnologia dall’estero. La scelta italiana di 4 reattori di cui ancora non ne esiste uno solo finito, gli Epr, secondo me si può spiegare solo con la volontà di fare un favore a Sarkozy o di mettersi un fiore all’occhiello in vista del G8.

Ma a parte i problemi di realizzabilità, che vantaggi potrebbe portare l’atomo al sistema elettrico italiano?
L’Italia è il paese in Europa con il costo dell’energia più alto non perché ci manchi l’energia, bensì perché la produciamo a costi alti per l’inefficienza del nostro sistema energetico. Abbiamo infatti una potenza installata attorno ai 96mila megawatt a fronte di una domanda di circa 60mila: cioè un eccesso del 30% rispetto alla domanda. Il nucleare non risolve il problema perché non consente di modulare l’energia, non dà cioè flessibilità. Noi compriamo dalla Francia proprio perché il loro sistema è molto rigido: installata la potenza per coprire i picchi dell’oscillazione giornaliera sono costretti a vendere a prezzi stracciati l’elettricità che non usano.

Del nucleare è molto contestato l’aspetto economico: come si pone questa tecnologia in un sistema liberalizzato?
I privati dovrebbero farsi carico di queste strutture rigide dai costi enormi: per capire come si pone in un mercato liberalizzato basta guardare a quello che succede negli Usa, dove con la liberalizzazione da 30 anni le compagnie elettriche non hanno più costruito una centrale. Ora forse andrà Scajola a spiegare agli imprenditori americani che hanno sbagliato a non costruire centrali in questi 30 anni? Diversa invece la situazione francese: lì le centrali le ha costruite lo Stato ammortizzandole perché erano organiche al programma di armamento nucleare.

Perché allora le grandi compagnie italiane come Enel e Edison sono saltate sul carro del nucleare?
Enel, anche per le operazioni che ha fatto all’estero comperando centrali nucleari, è indebitata per 52 miliardi di euro. Sarebbe stato strano che di fronte alla proposta del governo non ci fossero stati: gireranno finanziamenti, facilitazioni. È inverosimile che lo Stato alla fine non contribuisca economicamente, quando noi ancora nelle bollette di adesso stiamo pagando il nucleare di 22 anni fa. Ci sono poi altre aziende che scalpitano per l’atomo: attorno alla realizzazione delle centrali c’è lavoro per molte società attive nelle grandi opere. Penso ad esempio a Impregilo o alla Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna, le stesse del ponte sullo stretto.

Si parla della creazione di Difesa Servizi s.p.a, una società che controllerà le proprietà della Difesa e che sarebbe autorizzata anche a vendere energia. C’è un rischio di militarizzazione delle nuove centrali?
Certo, il decreto Scajola in discussione prevede che qualora i comuni non decidano, intervenga direttamente il governo. Un regolamento approvato dal Governo Prodi proprio alla fine del suo mandato permette poi di porre il segreto di Stato sugli impianti di produzione di energia. La militarizzazione si è già vista per la discarica di Chiaiano e per l’inceneritore di Acerra, e il nucleare non può essere gestito altrimenti.

GM

16 marzo 2009
 
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