Mobilitazione contro il carbone sporco e pulito

  • 2 Marzo 2009

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Oggi a Washington l'America ambientalista e dei diritti civili si mobilita contro il carbone. Ma se la necessità urgente di limitare le emissioni è ormai ampiamente condivisa, c'è chi usa l'idea della carbon capture per continuare sulla strada del combustibile più sporco.

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Oggi gli Usa scendono in piazza per il clima e contro il carbone. Migliaia di persone si sono date appuntamento a Washington per un’azione di disobbedienza civile preannunciata come la più grande mai tenutasi in America contro il global warming. L’obiettivo è fermare una centrale a carbone di particolare importanza simbolica: quella che fornisce il riscaldamento al Congresso. L’invito ai cittadini e ai militanti delle 70 associazioni ambientaliste, politiche, dei consumatori e dei diritti civili per l’azione di questa mattina è di partecipare con un atteggiamento non violento, pronti a farsi arrestare e vestiti a festa: un chiaro richiamo alla tradizione del movimento americano  a favore dei diritti civili .

Quello contro il cambiamenrto climatico negli Usa ambisce dunque a diventare il movimento che caratterizza questo tempo, come quello per i diritti degli afroamericani lo fu per gli anni ’60. Se allora il tempo era maturo per iniziare a uscire dall’apartheid con il plus di un interlocutore disponibile come il presidente John Fitzgerald Kennedy – sembra essere il messaggio nascosto della mobilitazione – il momento attuale, con la presidenza di Obama, sembra essere la circostanza migliore per una rivoluzione del modello energetico, anche a livello culturale. Affinché anche l’idea di usare combustibili che distruggono il pianeta diventi un tabù come lo è diventato il razzismo.

Insomma, nell’opinione pubblica, americana e nostrana, l’urgenza di agire contro il global warming sembra ormai chiara. Se ormai quasi più nessuno mette in dubbio il ruolo dei combustibili fossili, sta però forse emergendo un’altra forma di mistificazione che vuole sostituire l’ormai sconfitto negazionismo climatico. Questa settimana ne parla Fred Pearce, dalla sua rubrica Greenwash, sul Guardian: “la gente che ci ha detto per anni che il riscaldamento globale antropogenico era un mito, ora ammette che in effetti è reale, ma aggiunge che esiste una cosa chiamata “carbone pulito” in grado di risolvere il problema”.

L’esempio che Pearce fa  è quello dell’American Coalition for Clean Coal Electricity (ACCCE), associazione che raccoglie milioni e milioni di dollari forniti da compagnie minerarie, di trasporti, gestori di centrali per cercare di dare un’immagine meno sporca al carbone. Nell’ultima campagna sulle televisioni Usa , costata 38 milioni di dollari, ACCCE ad esempio assicurava che il carbone odierno è “per il 70% più pulito”, senza specificare che questo 70% si riferiva ai tagli, imposti dalla legge americana contro le piogge acide, di diossido di zolfo e ossido nitroso, e non alla CO2.

Ma il vero cavallo di battaglia del greenwashing del carbone è l’idea della cattura dell’anidride carbonica, la cosiddetta CCS. L’idea, appunto. Perché la tecnologia ancora non è in funzione – sottolinea il giornalista del Guardian. L’unico risultato concreto di questa tecnologia ad oggi, infatti – spiega Pearce in un altro articolo – è quello di avere permesso a vari governi di proclamare ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni senza minacciare l’industria del carbone e addirittura mettendo in programma la costruzione di nuove centrali: è quel che hanno fatto ad esempio Gran Bretagna, Germania e Australia, il cui futuro in termini di emissioni è legato appunto a questa incerta tecnologia .

Il problema è che la CCS, con tutte le controindicazioni che comporta (a partire da consumi e costi dell’energia più alti, fino ai problemi di sicurezza: vedi rapporto Greenpeace su Qualenergia.it), non arriverà prima di due decenni. A dirlo chiaramente c’erano già gli autorevoli studi del MIT e dell’IEA, e questa settimana sul Guardian lo ammette anche l’amministratore di Centrica, una delle compagnie che dovrebbero fornire la tecnologia alle nuove centrali inglesi: la cattura della CO2 non sarà realtà prima del 2030. D’altra parte se la CCS fosse veramente a un passo dal risolvere il problema delle emissioni del carbone, non si capisce perché l’American Coalition for Clean Coal Electricity vi abbia investito solo 3,5 dei suoi 57 miliardi di dollari.

Anche se non si può negare che il ruolo del carbone nel mix energetico mondiale (41% dell’elettricità) renda improbabile che lo si abbandoni a breve – e sia dunque urgente una soluzione per contenerne l’impatto, appare chiaro che per avere una tecnologia CCS operativa serve ancora molto tempo, ricerca e soldi. Dipingere la soluzione come imminente, e soprattutto usarla come giustificazione per costruire nuove centrali – è anche l’opinione di James Hansen del Goddard Institute della Nasa, climatologo di fama mondiale che oggi sarà a Washington alla mobilitazione – è solo “il trucco più sporco” di chi sostiene il carbone.

GM

2 marzo 2009

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