La rinascita nucleare

  • 27 Febbraio 2009

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L'ultimo impianto di riprocessamento costruito a Sellafield dopo una breve vita di malfunzionamento sarà forse chiuso. Una centrale inglese da 14 anni disperde liquido radioattivo nell'ambiente. In Giappone dopo un anno e mezzo ancora chiusa la più grande centrale atomica del mondo. Intanto le perdite economiche crescono a dismisura.

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Mentre il governo di Londra non mostra segni di ripensamento sui suoi propositi di costruire 6 nuove centrali entro il 2020, in queste settimane una serie di colpi si sono abbattuti sul nucleare inglese. Una settimana fa la condanna di un operatore la cui centrale, chiusa, avrebbe disperso nell’ambiente liquido radioattivo per 14 anni. In questi giorni l’annuncio della chiusura anticipata per motivi di sicurezza del più grande impianto di riprocessamento di combustibile. Su tutto questo grandi polemiche, come quelle attorno allo scioglimento del Nuclear Safety Advisory Committee (NuSAC) fatto sparire in silenzio a ottobre.

La condanna per le perdite radioattive è quella nei confronti di Magnox Electric Ltd, per la gestione della centrale di Bradwell-on-sea, nell’Essex, in stato di decomissioning. L’azienda dal 1990 al 2004 non avrebbe effettuato i controlli dovuti, non accorgendosi della dispersione di liquido radioattivo da una cisterna sotterranea. Magnox, portata in tribunale dall’Environment Agency, ora dovrà pagare una somma di 350 mila sterline. Fanno riflettere sulla sicurezza di questa tecnologia le parole di Mike Weightman, capo ispettore del Nuclear Installations Inspectorate, pronunciate al processo e riportate dal Guardian: non sarebbe stato possibile “ispezionare o controllare ogni parte di un impianto così complesso”.

La questione della sicurezza sul nucleare ha fatto scoppiare un’altra diatriba sui giornali inglesi: è emerso che uno dei più attivi organismi di controllo, il Nuclear Safety Advisory Committee (NuSAC), è stato smantellato lo scorso ottobre senza apparente motivo e nel silenzio più totale. Sul Guardian uno dei componenti del comitato sciolto denuncia l’attuale mancanza di un organismo di controllo indipendente e accusa il governo di aver eliminato il NuSAC per le sue posizioni critiche e perché temeva fosse un ostacolo al rinascimento nucleare britannico: l’organo di controllo aveva già sollevato diversi dubbi su questioni economiche e di sicurezza.

Nel mezzo della polemica intanto è giunta quella che forse è la notizia più imbarazzante per i sostenitori inglesi dell’atomo, impegnati a convincere l’opinione pubblica che il nucleare si può fare garantendo sicurezza e rispetto di tempi e costi: l’impianto di riprocessamento del combustibile nucleare di Sellafield sarà con ogni probabilità chiuso prima del previsto. Secondo un report della Nuclear Decomissioning Authority, Sellafield infatti “non ha le caratteristiche di capacità e longevità adatte alle sue funzioni di deposito e riciclaggio”.

È la fine definitiva del sito che accoglie anche parte delle scorie del nucleare italiano? Osteggiato per vie legali da ambientalisti e anche dal Governo irlandese (secondo Dublino avrebbe infatti inquinato le acque nazionali sorgendo proprio di fronte all’Irlanda), Sellafield nei suoi quasi 60 anni di vita ha dovuto affrontare continui malfunzionamenti. La struttura in questione, il cosidetto impianto MOX  per il riprocessamento del combustibile, realizzato nel 1997 e messo in funzione nel 2001, è costato 470 milioni di sterline . Avrebbe dovuto riprocessare 120 tonnellate all’anno di uranio e plutonio usati per farne nuovo combustibile. In realtà mentre negli anni dal 1998 al 2002 è stato praticamente fermo per problemi tecnici, dal 2002 al 2007 di tonnellate ne ha lavorate solo 2,6 all’anno. Ora con ogni probabilità le 100 tonnellate di scorie presenti nel sito dovranno essere stoccate da qualche altra parte, anziché divenire combustibile.

 
Anche dall’altra parte del globo, in Giappone, il comparto nucleare non se la passa benissimo. Solo una settimana fa l’agenzia per la sicurezza nucleare nipponica ha dato il via libera all’utility Tokyo Electric Power (TEPCO) per testare il funzionamento del generatore n. 7 delle centrale Kashiwazaki-Kariwa (1.356 MW) dopo un anno e mezzo di blocco.
Ricordiamo che per gli effetti di un forte terremoto, che il 16 luglio 2007 ha colpito l’area, vennero riscontrati danni ai reattori della centrale. Kashiwazaki-Kariwa è il più grande complesso nucleare del mondo con 7 impianti per 8.212 MW, tutti bloccati dopo l’incidente.
L’autorizzazione a rimettere in funzione il reattore n. 7, l’unico finora e il più nuovo del gruppo, deve essere però suffragata ancora dall’approvazione di tre autorità locali.
Le perdite dell’utility calcolate al mese di marzo 2008, quindi un anno fa e solo dopo 8 mesi dallo stop, sono state di circa 5,6 miliardi di euro, mentre le azioni della compagnia elettrica nel 2007 calarono del 30%.
Sarebbe interessante sapere, alla luce di queste informazioni, quale compagnia assicurativa privata oggi si infilerebbe nell’avventura dell’atomo. O forse gli Stati hanno capito che se qualcosa non funziona esiste sempre una scappatoia, cioè creare una “bad company” a carico della collettività?

GM / LB

20 febbraio 2009
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