Emissioni, meglio scambiare che tassare?

  • 11 Febbraio 2009

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Cap and trade o carbon tax? Il World Resource Institute propende per la prima soluzione. Il presidente del think-tank americano spiega perchè è preferibile un  mercato dei diritti ad emettere rispetto ad una tassa posta alla fonte.

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La necessità di porre un freno alle emissioni ormai è indiscussa anche negli Usa, il paese fino a pochi mesi fa era il più restio a introdurre politiche limitanti. Il programma di Barack Obama è di farlo usando un sistema cap and trade con la vendita all’asta del 100% dei diritti di emissione. Una soluzione che riprende il modello europeo ETS di un mercato in cui vengono scambiati i diritti, ma che elimina l’assegnazione gratuita di parte dei permessi, che molti hanno reputato essere la debolezza principale del sistema europeo. Tuttavia specialmente negli Usa molti riterrebbero preferibile (vedi articolo su Qualenergia.it) una soluzione alternativa al cap and trade: la carbon tax, una tassa sulla CO2 posta alla fonte, cioè sui combustibili fossili, i cui ricavi, a seconda delle diverse proposte, vengano divisi equamente tra i cittadini o usati per finanziare il passaggio a un’economia low-carbon.

Quale delle due soluzioni è preferibile? Il World Resource Institute propende per il sistema cap and trade e, in un intervento sul sito dell’istituto, John Lash, il presidente del think-tank americano, spiega perché. Per ridurre le emissioni occorre che alla CO2 venga dato un prezzo adeguato. Con la carbon tax le emissioni dovrebbero essere tagliate progressivamente negli anni, aumentando costantemente la tassa. Il problema è, spiega Lash, che è molto difficile stabilire l’importo iniziale della tassa che consenta una vera riduzione. Inoltre, verosimilmente, il Congresso porrà resistenza ogni volta che questo importo dovrà essere aumentato. Infine, con la carbon tax, a differenza che col cap and trade, è molto difficile programmare la quantità di gas serra che si riuscirà a tagliare, rendendo più incerto il raggiungimento di obiettivi determinati.

Uno dei punti forti della carbon tax è  la sua supposta praticità e trasparenza, ma secondo il presidente del WRI tale semplicità sarebbe solo teorica. Il metodo di tassare i combustibili fossili e poi redistribuire i proventi della carbon tax creerebbe, infatti, squilibri regionali, spostando denaro dagli Stati che usano molto carbone per produrre la loro elettricità verso quelli che hanno sistemi più puliti. Una questione che a livello politico sarebbe difficile da accettare; per risolvere questo aspetto si dovrebbero introdurre modifiche al meccanismo che ne comprometterebbero la semplicità.

C’è poi un argomento particolarmente forte che il presidente del WRI usa per spiegare la sua preferenza per il cap and trade: la scienza sta avvertendo che c’è poco tempo per agire. Meglio dunque optare per un sistema che già esiste nel mondo che non per uno, come la carbon tax, che non è ancora stato concretamente sperimentato. Il vantaggio del cap and trade è che essendo già in uso in Europa, in Australia e in diversi Stati americani, se venisse adottato da altri paesi si potrebbe espandere fino a creare un mercato a livello mondiale.

E cosa rispondere a chi fa notare i risultati deludenti della prima fase dell’ETS? Non è vero che il cap and trade non sia efficace, risponde Lash: è con un sistema di questo tipo che gli Usa sono riusciti a dimezzare le emissioni di zolfo responsabili delle pioggie acide. Il problema dell’ETS è che nella prima fase sono stati assegnati troppi permessi gratuiti, a causa di una mancanza di dati, e dunque la riduzione delle emissioni è stata minore di quanto si voleva ottenere.

Un’ultima lancia a favore del cap and trade il presidente del WRI la spezza parlando dell’efficacia della misura in un contesto di crisi. Mentre in un mercato delle emissioni il prezzo dei diritti si abbasserebbe automaticamente in caso di rallentamento economico grazie al calo della domanda, con la carbon tax per alleggerire il peso sulle aziende nei momenti di crisi bisognerebbe rimodulare verso il basso la tassa ad ogni periodo di recessione.

E per quanto concerne il rischio di bolle e speculazioni implicito in un sistema di mercato come il cap and trade? La risposta conclude Lash è nel trovare una regolamentazione adeguata, non nell’eliminazione del mercato.

11 febbraio 2009

 
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