Imprese a rischio “ecoflazione”

  • 9 Febbraio 2009

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"Ecoflation" è l'impatto che la crisi ambientali avrà sui costi di approvvigionamento per le aziende. Lo affronta uno studio del WRI: per difendersi le imprese dovrebbero investire in sostenibilità già adesso. Di queste implicazioni si parlerà anche a Roma il prossimo 13 febbraio in un convegno.

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Si dice “ecoflation“, un neologismo che in italiano potremmo tradurre con “ecoflazione”: sta a significare l’aumento dei costi lungo la catena produttiva dovuto alle problematiche ambientali e alle politiche messe in atto per rimediarvi. Solo le aziende che sapranno incorporare la sostenibilità ambientale nelle loro pratiche saranno in grado di affrontare con successo questa nuova sfida. È questa la conclusione dello studio condotto dal World Resource Institute, assieme a A.T. Kearney, sull’impatto che le problematiche ecologiche avranno sulle aziende nel prossimo decennio, dal titolo “Ecoflation. Rattling Supply Chains: The Effect of Environmental Trends on the Fast Moving Consumer Goods Industry“.

Anche se negli ultimi mesi i prezzi di beni fondamentali come il petrolio e i cereali sono calati nettamente – è la premessa al report – i prezzi sul lungo periodo sono destinati a risalire. Circa il 60% dei servizi forniti dagli ecosistemi del pianeta sono deteriorati o usati in maniera insostenibile. Il cambiamento climatico, assieme all’aumento della popolazione e allo sviluppo economico di giganti come Cina e India, aggraverà la situazione e le conseguenze si sentiranno in molti modi nell’economia delle imprese.

Se non incorporano pratiche sostenibili al loro interno e lungo la loro catena di approvvigionamento le aziende che producono beni di consumo potrebbero vedere calare gli utili dal 13 al 31% entro il 2013 e dal 19 al 47% entro il 2018. Con le risorse che si fanno più scarse e le questioni ambientali più pressanti, infatti, i costi che attualmente sono a carico della collettività  peseranno sempre di più sulle imprese private.

Lo scenario ipotizzato dallo studio prevede, ad esempio, che nei prossimi anni venga adottata una politica internazionale di riduzione dei gas serra, dando un prezzo alle emissioni; che l’acqua diventi più scarsa a causa del global warming; che i produttori di Europa e Nord America si accordino per usare solo legno che non aumenti i problemi di deforestazione e che venga adottata una politica di sostenibilità nella produzione dei biocarburanti.

Se questo avvenisse, ad esempio, i cereali aumenterebbero di prezzo a causa della scarsità d’acqua e delle politiche per il clima, anche se l’incremento fosse contenuto da una politica di sostenibilità nella produzione dei biofuels: al 2018 l’aumento dei prezzi potrebbe così essere del 13%. Facendo le stesse ipotesi lo studio stima anche l’impatto sulle altre risorse fondamentali: il petrolio aumenterebbe del 22%, il gas del 40% e l’elettricità del 45%.

Per difendersi – conclude lo studio – le aziende dovrebbero esaminare quali sono i beni i cui costi sono maggiormente influenzati dai trend ambientali e scegliere sostituti con minore impatto, analizzando in questo senso la propria catena di approvvigionamenti. Le opportunità di attuare pratiche sostenibili adesso dovrebbero essere valutate anche alla luce dei potenziali impatti futuri in termini di costi, ritorni economici e di reputazione. Importante dunque includere anche le esternalità nel processo decisionale. “Le imprese di successo – conclude lo studio – saranno quelle che sapranno anticipare le implicazioni di un mondo che cambia, collaborando con i fornitori e gli altri stakeholder per fare della sostenibilità una componente fondamentale del loro business”.

 
Delle implicazioni dei cambiamenti climatici sulle attività delle aziende internazionali e nazionali si parlerà anche a Roma in occasione del convegno del 13 febbraio “Carbon Disclosure Project (CDP) – Rapporto Italia“, organizzato da Banca Monte dei Paschi di Siena, Kyoto Club ed ERM Italia. A breve pubblicheremo un articolo di presentazione del rapporto CDP6 Italy.

GM

6 febbraio 2009
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