Normalmente un produttore di elettricità guadagna tanto più quanta più energia i suoi utenti consumano. Se la domanda sale la compagnia costruisce una nuova centrale e l’unico modo per cui un’utility possa perdere soldi è che la domanda cali improvvisamente. L’azienda non ha così nessun interesse a ridurre i consumi dei clienti. Il decoupling (cioè sdoppiamento) mira proprio a rompere questo meccanismo e a rendere conveniente alle compagnie i minori consumi dei clienti. Consentendo alle utility di aumentare le tariffe in caso di calo della domanda, si permette loro di guadagnare su una parte dell’energia che contribuiscono a far risparmiare agli utenti. I fornitori di energia cioè possono far pagare in bolletta interventi di efficienza energetica realizzati nella casa o nell’azienda del cliente. Uno schema che potrebbe richiamare, se vogliamo, il nostro meccanismo dei titoli di efficienza energetica.
In pratica, in questo modo, i chilowattora risparmiati possono essere comparati a quelli ottenuti vendendo elettricità prodotta con una nuova centrale. Anche se, va detto, che un kWh risparmiato con investimenti in efficienza costa in media di 2-3 centesimi di dollaro, circa un quinto di quanto costa produrlo con una nuova centrale a gas o a carbone. Senza contare che il kWh risparmiato non ha bisogno di infrastrutture per essere distribuito, né produce emissioni, che presto anche negli Usa si dovranno pagare. L’intervento di efficienza diventa così un investimento redditizio per la società energetica, ma è conveniente anche in bolletta: l’aumento della tariffa è regolato in maniera tale che l’utente in realtà paga l’intervento su tempi molto lunghi e nel frattempo risparmia.
In California, dove il decoupling (abbinato ad altre misure per l’efficienza) è stato introdotto oltre 30 anni fa, ai tempi della prima crisi energetica, il consumo procapite di elettricità è il 40% in meno rispetto alla media nazionale e il business dell’efficienza ha creato 1,5 milioni di posti di lavoro (vedi documento). Secondo un rapporto McKinsey, un terzo delle emissioni Usa, paese tra i più inefficienti nel settore elettrico, potrebbe essere eliminato entro il 2030 solamente grazie ad interventi di efficienza a costi marginali negativi. I tentativi di spronare all’efficenza il settore elettrico Usa, d’altra parte, non sono nuovi, almeno a livello statale: già ora alcuni Stati, come il Massachussets, prevedono l’obbligo per le utility di aiutare gli utenti a migliorare l’efficienza energetica delle proprie abitazioni in vari modi. In 3 Stati del New England le compagnie elettriche prima di ottenere il permesso per costruire una nuova centrale devono dimostrare di aver fatto il possibile per ridurre i consumi dei propri utenti.
Chiaro, dunque, il senso di introdurre il decoupling per le utilty all’interno del pacchetto stimolo da 825 miliardi di dollari totali presentato da Obama. L’emendamento in cui se ne parla, opera del democratico californiano Henry Waxman, prevede che gli Stati che riceveranno finanziamenti federali per l’energia, oltre che prevedere questa possibilità per le utility debbano anche adottare regolamenti edilizi più severi in materia di efficienza.
GM