Il nucleare in Italia e i debiti dell’Enel

  • 16 Gennaio 2009

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Il nucleare è sempre più costoso ed Enel è indebitata. La via dell'atomo è in salita e non la si percorre senza la spinta della mano pubblica, spiega Giuseppe Onufrio di Greenpeace. Intanto in Europa E.On. e Rwe voltano le spalle alla tecnologia Epr, proprio quella che si vorrebbe per l'Italia.

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Anche in questi giorni, con la crisi del gas, il nucleare è ritornato nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio come la bacchetta magica capace di risolvere ogni problema energetico. Anche quello dell’esaurimento dei combustibili fossili. Ha detto Berlusconi: “il nucleare è il futuro, il combustibile fossile è qualcosa che va a finire”. Tuttavia gli ostacoli dell’atomo sulla strada del futuro restano ancora tutti lì: problemi di sicurezza e di smaltimento delle scorie, rischi militari ma soprattutto costi insostenibili in un sistema liberalizzato. Proprio dell’aspetto economico abbiamo voluto parlare con Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.

Onufrio, insomma, il nucleare per ilGoverno conviene?
Basta guardare agli Stati Uniti: lì la liberalizzazione ha bloccato gli investimenti in nuovi impianti nucleari da 30 anni. Nel 2005 si sono dovuti introdurre forti incentivi (tra cui 1,8 centesimi al kWh per i primi 6.000 MW) per sostituire le centrali che verranno chiuse per raggiunti limiti d’età. Sono anche stati stanziati fondi a tasso agevolato per 18,5 miliardi di dollari. Eppure ancora non risultano nuovi ordinativi. Il problema è il costo effettivo delle centrali nucleari, sempre più elevato di quello dei progetti iniziali: per l’agenzia Moody’s per 1.000 MW servono 7,5 miliardi di dollari anziché i 3 dei dati ufficiali, che vengono calcolati “overnight”, senza cioè considerare i lunghi tempi necessari a realizzare l’opera. Secondo l’utility americana Florida Light and Power i miliardi di dollari per 1.000 MW sarebbero addirittura 8. Le ragioni della crescita dei costi: incertezze sugli effettivi tempi di realizzazione, costi finanziari sul capitale, ma soprattutto il forte aumento delle materie prime.

A proposito di tempi che aumentano e costi che lievitano, Greenpeace tiene sotto stretto controllo il cantiere di quello che probabilmente sarà il primo impianto di terza generazione mai realizzato, quello del reattore Epr che si sta costruendo a Olkiluoto, in Finlandia. Come procedono i lavori?
Senza parlare dei problemi di sicurezza – ad agosto le “non conformità” accertate dall’ente di sicurezza nucleare STUK erano 2100 – l’aspetto più fallimentare è appunto il ritardo e il conseguente lievitare dei costi. Si è saputo ora che il ritardo stimato ha raggiunto i 3 anni rispetto all’obiettivo iniziale di realizzare il reattore in 48 mesi. Le stime attuali dicono che il progetto costerà il doppio di quel che si era previsto. E una parte consistente delle perdite saranno del costruttore francese AREVA, società quasi interamente pubblica.

Reattori Epr come quello di Olkiluoto sono quelli proposti anche per il piano nucleare italiano…
A questo proposito una notizia di questi giorni potrebbe cambiare il quadro del dibattito: E.On e Rwe hanno dichiarato l’interesse di ricostruire 4 impianti per il governo inglese, ma sembra che i reattori non saranno Epr. Se così fosse, questo sarebbe un colpo per la promozione francese fatta a questo tipo di impianti. Promozione supportata anche da Enel, che partecipa col 12,5% alla costruzione dell’unico altro Epr in costruzione, quello di Flamanville in Francia, e che ha dipinto l’Epr come la tecnologia del futuro.

Altra notizia recente è quella della difficile situazione economica di Enel, indebitata per acquistare Endesa. Potrebbe essere un problema per un’azienda in deficit intraprendere il progetto nucleare…
Enel è sempre intervenuta sul tema nucleare mostrando cifre per la costruzione di un reattore che sono circa la metà di quelle che di cui si parla negli Stati Uniti e in Inghilterra. Prima dell’estate affermava che per un reattore Epr servivano 3-3,5 miliardi di euro, a ottobre si correggeva a 4. Secondo le dichiarazioni al Times della tedesca E.On.,un reattore Epr costerebbe invece fino a 6 miliardi e anche le stime di altri operatori sono più alte. Per fare un paragone: se per Enel 1.000 MW si potrebbero installare con 2,5 miliardi di euro, secondo E.On ne occorrerebbero fino a 3,5, per l’agenzia Moody’s 4,6 e per l’utility americana Florida L&P almeno 5,2.

Siamo di fronte a un’azienda privata (che però è per il 30% pubblica) che per ragioni politiche (assecondare qualche interesse particolare e la posizione ideologica del governo) sta proponendo investimenti che non sono supportati dalla realtà economica. Nei paesi che devono sostituire le vecchie centrali, come abbiamo visto per gli Usa, i soldi vengono cercati negli incentivi pubblici. In Italia il nucleare viene invece presentato come un’operazione completamente a carico dei privati. Guardando alla situazione finanziaria attuale di Enel resta però da capire come possano indebitarsi ulteriormente. Se fosse interamente privata, sarebbero fatti loro, ma invece per il 30% sono anche fatti di interesse pubblico.

In realtà Enel si è già imbarcata nel nucleare, ad esempio con i reattori di epoca sovietica in Slovacchia. In quel caso, almeno dal punto di vista economico, c’è più convenienza rispetto alla costruzione di nuovi reattori Epr?
Per niente. Qui si tratta di una condizione capestro posta dal governo slovacco nell’accordo per l’acquisto del 66% della Slovenske Electrarne. Enel deve completare due reattori tipo VVER 440/213 a Mochovce e aggiornarne altri due a Bohunice. Il costo di progetto iniziale del completamento delle due unità a Mochovce era stimato a 1,9 miliardi di euro per 880 MW. La stima ora è salita a 2,8 miliardi e non è detto che non cresca ancora.

Anche senza includere i costi già pagati all’epoca dal regime comunista, il costo equivalente per 1.000 MW è di 3,2 miliardi di euro: in proporzione quasi il 40% in più di quanto costa un reattore EPR nuovo, secondo Enel. Senza contare che si tratta di una tecnologia degli anni ’70: si pensi che alla riunificazione della Germania nel sito di Greisfwald, nell’ex Germania Est, c’erano 4 unità VVER di prima generazione che furono subito chiuse, 3 unità di classe VVER 1000, la cui costruzione fu bloccata e un’unità di seconda generazione (come quella di Mochovce) appena completata e avviata nel 1989 che fu chiusa per ragioni di sicurezza. In Finlandia una centrale uguale a quella di Mochovce fu costruita negli anni ’70, ma dotata di un guscio di protezione Westinghouse e sistemi di controllo Siemens: e questo è avvenuto non solo ben prima di Cernobyl, ma anche prima dell’incidente di Three Miles Island.
Gli impianti che Enel completerà in Slovacchia, invece verranno realizzati sprovvisti del guscio protettivo che serve per proteggere i reattori da incidenti da impatti aerei. “È un evento improbabile, la centrale è circondata da colline” ha dichiarato l’ad Conti di ENEL all’assemblea degli azionisti lo scorso giugno. Ma basta vedere le foto dell’impianto per capire che è una affermazione totalmente infondata.

GM

16 gennaio 2009
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