Solo l’Italia fa ostruzionismo sulla direttiva rinnovabili

  • 5 Dicembre 2008

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La proposta italiana per la revisione dell'intera direttiva nel 2014 rischia di bloccare i negoziati su una delle fondamenta del pacchetto clima ed energia al 2020. Critiche dall'Europa e dall'ambientalismo nostrano.

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L’intransigenza del governo italiano sulla direttiva rinnovabili per le fonti rinnovabili rischia di bloccare i negoziati su uno dei capisaldi della futura politica energetica europea. Mentre a Bruxelles su quasi tutti i punti si è trovato un accordo, un freno resta, ed è costituito dalla proposta italiana che consentirebbe la revisione dell’intera direttiva nel 2014.
Il Ministro Stefania Prestigiacomo, ieri presente al Consiglio dei Ministri dell’Ambiente UE, spinta da notevole pragmaticità, ritiene infatti che la “richiesta di una clausola di revisione punterebbe a delineare obiettivi concretamente raggiungibili per i singoli paesi, sulla base delle concrete capacità di implementazione del sistema delle rinnovabili”. Per il ministro, dunque, “questo è un modo serio di affrontare i problemi se si vuole davvero migliorare l’ambiente e non fare demagogia dell’ultima ora. La nostra richiesta punta a mitigare l’impatto anti-ambientale del solito criterio UE, cioè quello di parametrare gli obiettivi dei singoli paesi non sull’inquinamento pro-capite ma sul Pil pro-capite”.
Ma come alcuni europarlamentari hanno fatto notare la “clausola di revisione” va contro ogni buon senso legislativo e rischia soprattutto di far venir meno la fiducia degli investitori e la certezza del rientro sugli investimenti nel settore delle rinnovabili. Sarebbe poi importante superare l’impasse in vista dei negoziati della settimana prossima e varare quanto prima questa normativa, fulcro anche del pacchetto clima-energia.

Dura la presa di posizione di tutte le associazioni ambientaliste, come Greenpeace Italia. Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne dell’associazione ha dichiarato che “per salvaguardare gli interessi di qualche settore industriale, che certamente non esiste solo in Italia, il governo Berlusconi sta sabotando il pacchetto energia e anche il negoziato internazionale”. Per Onufrio “il voto contrario dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che il governo italiano è contro le politiche di salvaguardia del clima”. Del resto, aggiunge, “è chiaro che indebolendo la posizione europea si indebolisce il negoziato internazionale in cui l’UE ha un ruolo chiave”. Per il direttore delle campagne Greenpeace si trascura intenzionalmente l’ampio potenziale economico delle fonti rinnovabili in Italia, oltre quello occupazione costituito da decine di migliaia di occupati nel settore.

Non sorprende che Prestigiacomo, ai margini dell’incontro di Bruxelles, abbia dato, più o meno, dell’eco-demagogo al relatore al Parlamento Europeo Claude Turmes che aveva sottolineato come il nostro paese sia il solo ad opporsi ad un accordo finale sulla parte del pacchetto clima che prevede di portare al 20% entro il 2020 la quota di consumi energetici europei da fonti rinnovabili. “Siamo delusi perché a causa del blocco di questo solo paese – ha detto Turmes – la presidenza francese della UE non è riuscita a chiudere ieri sera il compromesso”.

Turmes ha dato poi una lezioncina, diciamo di buon senso, al nostro governo ricordando che l’Italia nel solare e nelle rinnovabili può essere molto competitiva; ha aggiunto che se la Spagna e la Grecia stanno puntando su questo settore è perché sono consapevoli che questo è il futuro. Ha inoltre ricordato che è stata un’azienda italiana a vincere la gara per installare i pannelli solari termici al villaggio olimpico di Pechino.
Frauke Thies, negoziatore di Greenpeace, è stato lapidario: “l’Italia cerca di destabilizzare la direttiva sulle rinnovabili nell’interesse delle compagnie produttrici di energia e contro gli interessi dei cittadini europei, dell’economia e del clima”.

Anche dal Wwf Italia dure critiche all’atteggiamento italiano. Maria Grazia Midulla, responsabile del programma clima, chiede “che si prenda atto delle potenzialità positive e si metta fine all’ostruzionismo. Abbiamo tutto da perdere da un ritardo e da una modifica del pacchetto Ue”.
Midulla cita a sostegno della sua tesi lo studio, appena presentato, dal titolo “L’Italia e il pacchetto clima: costi, benefici, opportunità“, realizzato dall’istituto di ricerca internazionale Ecofys per conto del Wwf Italia.
Secondo il documento, a fronte di un costo relativamente limitato, pari a circa lo 0,1% del Pil annuale fino al 2020, l’adeguamento dell’Italia alle proposte europee avrebbe una nutrita serie di benefici diretti e indiretti, come la riduzione dell’import di combustibili fossili, che porterebbe ad un risparmio di 12,3 miliardi di euro nel 2020“. Non solo: aderendo alle proposte UE, si avrebbero “minori costi di controllo delle emissioni, con un risparmio di 1-1,9 miliardi, una crescita fino allo 0,5% nei consumi privati e fino allo 0,3% dei posti di lavoro, oltre a una riduzione del tasso di mortalità e malattia, e alla mitigazione dei problemi ambientali collegati”.

Infine, per il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza Lega “non c’è modo di comprendere la ratio dell’atteggiamento italiano nella trattativa per il pacchetto clima. Siamo il paese del sole, abbiamo le migliori prospettive di sviluppo occupazionale ed economico proprio nel settore dell’industria delle rinnovabili eppure continuiamo a comportarci come ridicoli oppositori delle ragioni del clima e dell’ambiente”. Cogliati Dezza sottolinea che “le richieste del governo italiano sul pacchetto clima costringono il nostro paese in una posizione ridicola, vergognosa e insostenibile, quali strenui difensori dell’insensato”. Francamente, aggiunge Cogliati Dezza, “non è possibile rintracciare una logica dietro questa snervante politica di opposizione. Il nostro governo perderà comunque e questo certo non gioverà alla nostra economia o ai rapporti internazionali”.

Vedremo già nei prossimi giorni se e come si uscirà da questa fase di stallo.

LB

5 dicembre 2008

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