“Sappiamo di dover agire sui cambiamenti climatici, ma come? Con il chiarirsi delle informazioni scientifiche, mentre assistiamo agli effetti dei cambiamenti non nel futuro, ma proprio qui e ora, con le emissioni mondiali in continua crescita, i paesi del mondo sono alla ricerca di nuove strategie. Ognuno di noi può imparare dagli altri. Nel Regno Unito ci siamo impegnati a costruire un futuro a basso tenore di carbonio.”
Inizia così l’intervento di Ed Miliband – Segretario di stato per l’energia e i cambiamenti climatici del Governo britannico – fatto uscire ieri su la Repubblica.

Nell’articolo il Segretario di Stato laburista spiega l’azione convinta che il suo paese ha intrapreso per tagliare le emissioni. Con il Climate Change Bill, la legge su energia ed emissioni che sarà approvata definitivamente giovedì, il Regno Unito si pone infatti l’obiettivo di ridurre le emissioni dell’80% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. La legge in arrivo inoltre, per raggiungere l’obiettivo – legalmente vincolante – garantisce una voce di spesa apposita nel bilancio statale, con un budget che sarà rivisto ogni 5 anni assieme a una commissione indipendente di esperti di cambiamenti climatici, “per evitare che i politici decidano sulla base delle pressioni del momento”, spiega Miliband.

Una politica contro il cambiamento climatico, quella del Governo inglese, netta e decisa, anche se criticata da alcuni per certi aspetti, come la posizione contraddittoria sul carbone che ha ancora un ruolo centrale nel mix energetico nazionale. Ma la politica energetica inglese è solo apparentemente il tema dell’intervento di Miliband su Repubblica. Sembra, infatti, abbastanza chiaro che quando Miliband parla dell’esperienza in patria lo fa soprattutto per lanciare un messaggio forte al nostro paese, affinché abbandoni il suo gioco in difesa contro gli impegni europei sulle emissioni e assuma un ruolo attivo nella lotta al global warming.

“C’è chi ha già obiettato che in tempi duri per l’economia dovremmo fare marcia indietro sui nostri obiettivi in fatto di cambiamenti climatici. In realtà, pur se sono naturalmente possibili dei compromessi, esistono anche soluzioni comuni ad entrambi i problemi: misure di risparmio energetico per le famiglie che riducono consumi ed emissioni, nonché investimenti in nuove industrie ambientali che migliorano la sicurezza energetica, mentre riducono la nostra dipendenza dai combustibili inquinanti. D’altra parte, un ritardo in questa direzione non farebbe che rendere più costoso intervenire e, nel lungo periodo, sappiamo che i costi dell’inazione sui cambiamenti climatici superano i costi dell’azione”, scrive Miliband.

E – nel caso non si fosse capito – chiarisce: “Diamo il nostro deciso sostegno all’obiettivo della Presidenza francese di concludere un accordo definitivo sul pacchetto Clima ed Energia del 2020 nel mese di dicembre. Attuando gli impegni politici assunti dagli Stati Membri nel 2007, l’Europa deve dimostrare una forte leadership mentre i negoziati internazionali sul clima entrano in una fase cruciale”. Importante, dunque, che ogni paese si impegni sia a livello europeo che mondiale – sottolinea il laburista inglese, ricordando che “il cammino di avvicinamento a Copenhagen passa per il mandato italiano di presidenza del G8, per cui nel prossimo futuro sarà particolarmente importante il ruolo dell’Italia sul dossier clima”.

Parole che sembrano quasi una risposta alle posizioni prese dal nostro Governo. Oltre all’uscita di Berlusconi, che ha definito “donchisciottesca” la lotta ai cambiamenti climatici, ieri sono arrivate le dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo: in un’intervista alla Reuter la Prestigiacomo ha lamentato la “rigidità dell’Ue” nei confronti delle richieste italiane, e ha minacciato nuovamente il veto, affermando che sarebbe preferibile che la decisone sul pacchetto clima slittasse a dopo la conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, che si terrà a Copenhagen nel dicembre 2009.

Insomma, il nostro Governo sembra proprio non condividere la preoccupazione per i cambiamenti climatici che, oltre a coinvolgere tutti i grandi paesi europei, è sempre più diffusa anche nell’opinione pubblica. Dei 12 mila intervistati in un sondaggio condotto in 12 paesi, i cui risultati sono pubblicati oggi sul Guardian, infatti, il 77% ha dichiarato di volere che i propri governi taglino le emissioni secondo quanto previsto dagli accordi internazionali o anche di più, mentre  è emerso che il 43% è più preoccupato per il riscaldamento globale che per la crisi economica in atto.

GM

26 novembre