BP, veramente oltre il petrolio?

  • 21 Novembre 2008

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BP quattro anni fa ha cambiato l'acronimo in Beyond Petroleum, "oltre il petrolio". Ma nei suoi investimenti verdi quanto è sostanza e quanto greenwashing? Fred Pearce su The Guardian fa i conti in tasca alla multinazionale.

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Petrolieri che investono in fonti rinnovabili. Quella delle svariate multinazionali dell’oro nero che avviano progetti per l’energia pulita è una scelta lungimirante, mirata a diversificare gli investimenti, oppure solo una strategia comunicativa, un’operazione di cosiddetto greenwashing? Il tema è dibattutto da tempo. In un interessante articolo sul Guardian Fred Pearce fa le pulci a BP, il gigante del petrolio che dal 2004 ha cambiato il nome da British Petroleum a Beyond Petroleum, cioè “oltre il petrolio”.

La campagna comunicativa di BP, a partire dal cambio del nome, punta molto sulle alternative alle fonti fossili; tra gli slogan, diversi quelli che mettono l’accento sulla necessità di diversificare le fonti che vanno da “tutta la nostra energia non può stare in un barile” a “la sicurezza energetica è nella diversificazione energetica”, puntualmente corredati di iconografia a base di turbine eoliche contro cieli azzurri. Ma alla prova dei fatti gli investimenti di BP nelle rinnovabili sono veramente sufficienti ad andare “oltre il petrolio”?

Un miliardo e mezzo di dollari all’anno – tanto dichiara di spendere la multinazionale ogni anno per le “fonti alternative” – sono una bella cifra in termini assoluti, ma sono solo il 7% degli investimenti dell’azienda per quest’anno, un po’ poco a confronto dello spazio che le energie pulite hanno nella comunicazione della compagnia e considerando che BP opera nelle rinnovabili ormai da oltre 10 anni. Il 93% degli investimenti di quest’anno continua ad andare in petrolio e carbone.

E anche sul 7% dedicato alle “energie alternative” (vedi sito) ci sarebbe qualcosa da ridire: la cifra non riguarda solo gli investimenti nel solare o nelle pale eoliche che si vedono nell’iconografia di Beyond Petroleum, ma comprende anche quello che la multinazionale spende per i biocarburanti, per l’emission trading, per un fondo di venture capital e per le centrali a gas naturale, fonte sicuramente meno inquinante di petrolio e carbone, ma per la quale la qualifica di “alternativa” è un po’ forzata.

Bp è stata tra i primi grandi del petrolio a mostrare interesse per le rinnovabili. Ma l’impegno – racconta Pearce – negli ultimi anni è diminuito, anche per la pressione di investitori preoccupati che volevano che il petrolio rimanesse al centro degli interessi della compagnia. Così se nel ’99 BP aveva deciso di uscire dal business delle sabbie bituminose canadesi, l’anno scorso l’azienda, complici anche gli alti prezzi del greggio di quel periodo, ha deciso di tornare a investire su questa fonte, tre le più sporche e antieconomiche esistenti. Il mese scorso poi la compagnia si è ritirata anche dall’eolico in Gran Bretagna e, dopo aver giustificato il suo costante coinvolgimento nella filiera del carbone con la prospettiva di sviluppare tecnologie per la cattura della CO2, si è ritirata pure dalla gara indetta dal Governo britannico per mettere in pratica questa soluzione. Pe non parlare poi del solare fotovoltaico dove ha perso da tempo la leadership degli anni passati.

Sul carbone pulito BP, a dire il vero, continua a puntare in Australia e sull’eolico negli Stati Uniti ma, scrive Pearce, sono investimenti di nicchia, decisamente sottodimensionati per un’azienda che ha annunciato per il prossimo trimestre profitti per 10 miliardi di dollari: più di quanto  ha annunciato di spendere in “energie alternative” nei prossimi sei anni. La sensazione, conclude Pearce, è che anzichè andare “oltre il petrolio” BP si stia sempre più ritirando dai fatti alle parole.

GM

21 novembre 2008
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