Un idroelettrico piccolo così

  • 20 Novembre 2008

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Il futuro dell'energia idroelettrica è negli impianti di piccola e piccolissima taglia che possono sfruttare contesti nuovi e con un ridotto impatto ambientale. Ne parliamo con Sara Gollessi, esperta del settore.

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Tra le rinnovabili l’energia idroelettrica è quella che storicamente ha sempre retto meglio il confronto con le fonti fossili. Insieme al carbone fu uno dei motori della rivoluzione industriale e in alcuni momenti fu la fonte energetica in assoluto più importante nel nostro paese. Oggi l’idroelettrico ha un ruolo essenziale nel mix energetico italiano: fornisce il 15% circa del consumo lordo di energia elettrica nel nostro paese e quasi l’89% dell’energia elettrica fornita da tutte le rinnovabili.
L’era delle grandi centrali idroelettriche, che tra l’altro hanno un forte impatto ambientale sui territori in cui vengono realizzate, sembra però finita: i siti adatti a realizzarle sono praticamente già stati sfruttati tutti. Il futuro di questa fonte rinnovabile è invece negli impianti di piccola taglia che permettono di sfruttare siti prima trascurati, con un ridotto impatto ambientale. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Sara Gollessi, responsabile di Aper, l’associazione dei produttori di energie rinnovabili.

Dottoressa Gollessi, quali sono le prospettive per l’energia idroelettrica in Italia e in particolare per il piccolo idroelettrico?
Innanzitutto bisogna fare chiarezza su cosa si intende per “piccolo idroelettrico”: infatti se a livello europeo usualmente si definiscono “piccoli” gli impianti fino a 10 MW, in Italia la normativa fissa a 3 MW il limite per le “piccole derivazioni”. In generale si ritiene che in futuro non verranno realizzati altri grandi impianti idroelettrici in Italia (oltre i 10 MW), sia perché i siti migliori sono già stati sfruttati, sia perché ci si scontrerebbe con una forte opposizione da parte delle comunità locali. A livello di grandi impianti si può incrementare la producibilità attraverso interventi di ripotenziamento o ammodernamento, che ne migliorano anche l’efficienza. Al contrario per il piccolo idroelettrico ci sono ancora buone potenzialità nel nostro paese, perché consente di sfruttare le cosiddette “risorse marginali”. Le recenti innovazioni a livello tecnologico hanno reso disponibili nuove turbine in grado di sfruttare in modo efficiente anche salti molto bassi (fino a 2 o 3 m), che in passato erano considerati non idonei.

Sono tecnologie che permettono di produrre energia idroelettrica in contesti diversi, immagino.
Certo, le nuove turbine che lavorano sui bassi salti aprono nuovi orizzonti e consentono di spostare l’interesse dalle aree montane a quelle di pianura: ad esempio, ci sono buone potenzialità di sviluppo sulle reti di canali gestite dai consorzi di bonifica o di irrigazione. Un altro ambito interessante è quello degli acquedotti montani: all’interno delle condotte idrauliche è infatti possibile installare turbine piuttosto piccole, da qualche decina a poche centinaia di kW, ma che consentono di recuperare l’energia associata alla pressione che si crea per gli elevati dislivelli di quota, che altrimenti andrebbe dissipata meccanicamente.

Si tratta di impianti con un impatto ambientale praticamente nullo, perché le turbine vengono inserite all’interno di infrastrutture già esistenti e che in più consentono di realizzare il cosiddetto uso plurimo dell’acqua. Sono, inoltre, tecnologie assolutamente sicure dal punto di vista sanitario. La producibilità di questi impianti è molto contenuta, ma piuttosto costante e spesso vengono realizzati e gestiti direttamente dalle comunità locali (Comuni, Comunità Montane).

Quanto si stanno diffondendo queste turbine negli acquedotti?
È una tecnologia che si sta diffondendo rapidamente perché abbastanza conveniente e non complessa da realizzare. Il freno maggiore resta quello delle autorizzazioni, perché occorre comunque ottenere una concessione di derivazione per uso idroelettrico e l’iter si rivela spesso lungo e complesso, anche perché i funzionari regionali e provinciali in molti casi non conoscono queste tecnologie e sono diffidenti. Un altro fattore che in futuro potrebbe rallentare la diffusione di questi impianti è il divieto di cumulo, recentemente introdotto dalla Legge Finanziaria 2008, tra i contributi per la realizzazione dell’impianto e gli incentivi sull’energia prodotta: molti dei piccoli comuni che si facevano promotori di queste iniziative spesso non hanno i fondi per realizzare gli impianti.

Quali sono i tempi medi di ritorno di un investimento nel mini-idroelettrico?
Il sistema degli incentivi è in continua evoluzione e pertanto è difficile fare delle stime. Gli incentivi introdotti dalla Finanziaria 2008 comunque prevedono il riconoscimento di una tariffa omnicomprensiva per i primi 15 anni di funzionamento. Pertanto si potrebbe stimare che tempi di ritorno dell’investimento sono compresi tra 8 e 15 anni. Poi ogni impianto è diverso dagli altri: per impianti piccoli in cui le opere idrauliche sono praticamente tutte già realizzate, come quelli negli acquedotti, ci sono tempi di ritorni più brevi.

Per quanto riguarda i costi degli impianti, sono direttamente proporzionali alla potenza erogata? Le varie taglie hanno costi di produzione per kWh paragonabili?
Il costo complessivo aumenta con la potenza, ma entrano in gioco anche le economie di scala. Pertanto i costi specifici dei piccoli impianti sono in genere più elevati di quelli dei grandi impianti, e questo rende necessario incentivare maggiormente i piccoli rispetto a quelli di grande taglia. In ogni caso è difficile stimare in maniera precisa il costo di un kWh prodotto con impianti di diverse taglie perché per alcuni tipi di impianti non esiste un campione statisticamente significativo di nuove realizzazioni.

Escludendo gli impianti integrati negli acquedotti, quelle idroelettriche sono comunque opere che hanno un certo impatto ambientale. Come si può minimizzare?
Dobbiamo dire che la realizzazione di impianti sui canali irrigui di pianura genera un impatto ambientale molto minore rispetto a quello che si produce sui torrenti montani: infatti l’ambiente è già semi-artificiale, sono già presenti infrastrutture idrauliche e viarie che rendono anche più agevole la fase di cantiere e gli elettrodotti si possono più facilmente interrare. Esistono comunque molte soluzioni per minimizzare l’impatto ambientale di questi impianti nei diversi contesti (passaggi per pesci, turbine fish-friendly, ecc.), tanto che vi sono impianti realizzati all’interno di parchi naturali. Certo, implementare queste misure ha un costo, sia in termini di realizzazione che in termini di diminuzione di producibilità dell’impianto. Bisogna fare un bilancio tra i costi e i benefici ambientali che si ottengono, tenendo presente che generalmente l’impatto di un impianto idroelettrico si manifesta soprattutto a scala locale, mentre i benefici ambientali di questi impianti (riduzione dell’effetto serra), si manifestano a livello globale.

Quali sono i provvedimenti che servirebbero affinché il potenziale offerto dal mini-idroelettrico venga sfruttato a pieno?
Serve sicuramente una semplificazione dell’iter autorizzativo. Per impianti piccoli e molto piccoli, come quelli installati su canali irrigui e acquedotti, che per loro natura hanno impatti ambientali molto ridotti, bisognerebbe snellire la procedura di valutazione di impatto ambientale, che è costosa e molto lunga (in alcuni casi ci vogliono anche 8 anni). Servirebbero poi delle linee guida per i funzionari regionali e provinciali che diano indicazioni su come gestire le procedure autorizzative e su come valutare i progetti. Spesso gli enti locali hanno difficoltà a scegliere tra i progetti alternativi in concorrenza tra loro e i tempi vengono ulteriormente prolungati. D’altra parte il D.Lgs. 387 del 2003 prevedeva delle linee guida nazionali per coordinare le procedure autorizzative, ma ad oggi non sono state ancora emanate.

GM

20 novembre 2008
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