Un lungo articolo di fondo nel quale l’ex vicepresidente americano, paladino della lotta contro i cambiamenti climatici, coglie l’occasione per riproporre le sue idee su riscaldamento globale, politica energetica e crisi economica. “La notizia positiva – esordisce Gore – è che i passi audaci da fare per combattere la crisi climatica sono gli stessi da compiere per risolvere la crisi economica e il problema della sicurezza energetica“.
Che investire in un settore in grado di creare molti posti di lavoro come quello delle rinnovabili sia la soluzione per riavviare in modo veloce e sostenibile l’economia – sottolinea l’ex-vicepresidente – è un’idea che trova d’accordo economisti schierati sulle posizioni più diverse. D’altra parte i miliardi di dollari spesi ogni anno a causa della dipendenza dal petrolio estero sono una vera e propria palla al piede, senza contare – aggiunge Gore – la vulnerabilità del paese nel caso dovesse perdere l’accesso all’area petrolifera mediorientale o il fatto che il picco globale della produzione, se non è già stato superato, è molto vicino.
La soluzione per l’indipendenza energetica però – scrive – non va cercata in una maggior produzione di fonti fossili in casa. Il petrolio (che negli Usa ha superato il picco oltre trenta anni fa), le sabbie bituminose o il carbone – spiega Gore – sono fonti troppo inquinanti, troppo costose, o nel caso del carbone cosiddetto pulito “troppo immaginarie”; la tecnologia della carbon capture, sottolinea infatti l’ex-vicepresidente democratico, è ancora lontana dall’applicabilità e puntare su questa soluzione sarebbe solo “un’illusione cinica ed egoista”.
Per risolvere la situazione – esorta Gore – bisogna “mettere al lavoro la gente per rimpiazzare le tecnologie del 19esimo secolo, pericolose, costose e basate su combustibili a base di carbonio, con tecnologie del 21esimo secolo che usano combustibili che saranno gratuite per sempre: il sole, il vento e il calore naturale della terra”. Per farlo l’autore di “An inconvenient truth” indica un piano in 5 punti per il futuro energetico degli Usa, che porterebbe il paese ad avere “entro 10 anni il 100% dell’elettricità da fonti non fossili.
Il quinto punto del programma di Al Gore, infine, parla di mettere un freno alle emissioni con una tassa nazionale sulla CO2 e guidare gli sforzi mondiali per trovare una soluzione per il post-Kyoto, l’anno prossimo a Copenhagen, con un trattato più efficace che tagli significativamente le emissioni globali di anidride carbonica, incoraggi le nazioni a investire assieme efficientemente per rallentare il riscaldamento globale, anche riducendo drasticamente la deforestazione. Occorre, scrive Gore “ristabilire l’autorità morale e politica degli Stati Uniti per guidare il mondo verso una soluzione”.
Un editoriale di incitazione e speranza per la nuova pagina che gli Stati Uniti si apprestano a scrivere nella lotta al global warming. Ci chiediamo se ci sarà un ruolo per Al Gore nell’amministrazione Obama, ma a prescindere da questo, sarà importante capire se questo paese, capace di grandi imprese, rivolga finalmente le sue potenzialità verso traguardi ambiziosi e utili che siano da traino anche per il resto del mondo.
GM
12 novembre 2008