L’eolico off-shore che verrà

  • 14 Ottobre 2008

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Quali sono le prospettive dell'eolico marino in Italia e in Europa? Abbiamo intervistato l'ingegner Gaetano Gaudiosi, presidente di OWEMES, l'associazione che si occupa di eolico offshore e altre tecnologie marine.

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L’eolico è una delle fonti energetiche che sta crescendo di più in questi anni e che si prevede continuerà a farlo a ritmi anche maggiori nei prossimi. L’eolico off-shore, in particolare, se ha costi di realizzazione più alti, ha anche un potenziale molto grande visto che il vento sul mare soffia senza incontrare ostacoli, permettendo, a parità di condizioni, di ottenere il 30% di energia in più, e che le turbine collocate in mare hanno pochi problemi di impatto sul paesaggio.
Ne abbiamo parlato con l’ingegner Gaetano Gaudiosi, presidente dell’associazione OWEMES (Offshore Wind and Other Marine Renewable Energy in Mediterranean and European Seas).

Ingegner Gaudiosi, quali sono le prospettive per l’eolico off-shore nel mondo?

Grandi, al momento si parla di decine di Gigawatt che stanno per essere realizzati tra Germania, Inghilterra, Belgio e anche in Francia, dove si sta iniziando. La Danimarca realizzerà ancora qualcosa, come pure la Svezia: i paesi nordeuropei nei prossimi 20-30 anni avranno circa 40 GW installati.

Per l’eolico off-shore servono investimenti molto imprtanti. Crede che il settore risentirà dell’attuale stretta sul credito conseguente alla crisi finanziaria?
È probabile che ci sarà qualche rallentamento. Ma bisogna ricordare che l’eolico off-shore è una delle tecnologie a più alta velocità di installazione, che sta oltretutto progredendo molto sul piano tecnologico. Ha inoltre un notevole valore dal punto di vista ambientale, energetico e finanziario. Ritengo che almeno i progetti maggiori, che spesso come è il caso della Gran Bretagna e della Germania sono appoggiati anche dai governi, non dovrebbero avere difficoltà di finanziamento.

E nel nostro paese quali sono le potenzialità?
L’eolico off-shore in Italia potrebbe contribuire fino al 5% della produzione di energia elettrica al 2030, cioè divenire dello stesso ordine di grandezza di quello su terraferma: al 2030 si raggiungerebbe così in totale il 10% dell’energia elettrica prodotta dall’eolico. Questa comunque è ancora una previsione che bisognerà concretizzare: la politica del governo non ha chiarito bene qual è la posizione sull’off-shore (2 GW al 2020?), mentre per quel che riguarda l’eolico su terraferma le cose vanno un po’ meglio (12 GW al 2020?). Ci sarebbe del lavoro da fare per poter introdurre nei piani energetici regionali in modo adeguato anche la componente dell’eolico off-shore.

Qual è la situazione che l’eolico off-shore incontra in Italia dal punto di vista normativo ed autorizzativo, e come sarebbe oppoertuno incentivare al meglio questa tecnologia?
Il mare è di proprietà dello Stato, ma anche le Regioni vi si affacciano. Queste stanno cominciando a chiedere un maggior coinvolgimento nelle decisioni enegretiche. Al momento gli organi coinvolti nel processo autorizzativo dell’off-shore sono il Ministero dei Trasporti, attraverso la Direzione dei Porti e dunque le varie Capitanerie, il Ministero dell’Ambiente per quanto riguarda la valutazione di impatto ambientale, e quello dello Sviluppo economico per la pianificazione della produzione di elettricità.

Tutti questi dsoggetti evono decidere rapportandosi alle varie regioni. È un settore che comunque è in evoluzione; il seminario che abbiamo tenuto a Roma il 3 ottobre, nell’ambito di Zeroemission, nasce dall’idea di focalizzare l’interesse delle autorità sui numerosi progetti offshore in atto e proporre delle linee guida ai ministeri di come si potrebbe semplificare la normativa e la pratica autorizzativa di questi impianti.

Quanto invece agli ostacoli geografici come i fondali che da noi ad esempio non sono bassi, ci sono evoluzioni tecnologiche che promettono di superarli?
Nel nostro paese il potenziale in zone di fondali bassi non è notevole, anche perché limitato da vari utilizzi del mare e dal problema dell’impatto visivo: spesso le popolazioni costiere non vogliono vedere queste strutture a distanze di 3-5 chilometri dalla costa. In Italia il potenziale maggiore è in zone con fondali oltre i 50 metri di profondità. La tecnologia per realizzare impianti in queste condizioni si sta sviluppando. Una compagnia europea che si chiama Blue H Energy, ad esempio, sta sperimentando una piattaforma galleggiante che viene tenuta sott’acqua da un ancoraggio particolare, ad alte profondità, attorno ai 100 e più metri. Una piattaforma di questo tipo può essere realizzata anche a 20 km dalla costa, con un impatto visuale molto ridotto e in siti con un buon regime di venti.

GM

14 ottobre 2008
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