Il Pil, l’energia e il secchio bucato (1)

  • 4 Settembre 2008

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La diminuzione dei consumi energetici è la premessa fondamentale per sviluppare le fonti rinnovabili. Primo comandamento, quindi, ridurre gli sprechi. Maurizio Pallante ci parla di energia e decrescita (prima parte).

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Crescita economica, risparmio energetico, rinnovabili. Abbiamo rivolto alcune domande in proposito a Maurizio Pallante. Esperto di tecnologie ambientali, ex consulente del Ministero dell’Ambiente, tra i fondatori del “Comitato per l’uso razionale dell’energia” e promotore del “Movimento per la decrescita felice”, Pallante è un punto di riferimento italiano per quanto riguarda il pensiero della “decrescita”: una visione della società che contesta il paradigma che identifica il benessere con la crescita economica, misurata con il prodotto interno lordo, e propone un modello alternativo basato sulla riduzione dei consumi.

Riportiamo qui la prima parte dell’intervista. Seguirà a breve una seconda parte in cui si parlerà  di efficenza, cogenerazione e altro ancora.

Pallante, la crescita economica fa lievitare la domanda di energia e intacca risorse naturali finite, nello stesso tempo però nuove economie “verdi”, come quella legata alle rinnovabili, muovono capitali sempre più grandi e ingrossano i Pil di paesi come Germania e Spagna. Che rapporto c’è tra questione energetico-ambientale e crescita economica?
Innanzitutto bisogna chiarire cosa si intende per crescita economica. Noi pensiamo che la crescita economica, quella che si misura con il Pil, indichi la quantità di beni che un determinato sistema economico-produttivo mette a disposizione nel corso di un anno. In realtà la crescita non misura i beni ma le merci, cioè i beni e i servizi che vengono scambiati con denaro. Esistono dei beni che non sono merci e delle merci che non sono beni. La decrescita è la diminuzione del consumo delle merci che non sono beni e l’aumento della produzione e del consumo dei beni che non sono merci.

Questo come si traduce parlando di energia?
Mediamente per scaldare le case in Italia si consumano 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano o 200 kWh a metro quadro all’anno. In Alto Adige, in Germania o in altri posti non si permette di costruire case che consumino più di 7 litri di gasolio, 7 metri cubi di metano o 70 kWh al metro quadro all’anno. Questo cosa vuol dire? Che una casa mal costruita che disperde i due terzi dell’energia fa crescere il Pil più di una ben costruita che consuma un terzo rispetto all’altra. Quindi, la decrescita si attua costruendo case che consumano 7 litri o ristrutturando le case esistenti affinché da 20 scendano a un consumo di 7. In questo modo si ha una decrescita del prodotto interno lordo perché diminuisce la produzione e il consumo di una merce (cioè i 13 litri di gasolio su 20) che non è un bene, perché non serve a scaldare la casa ma si disperde visto che la casa è mal costruita. Noi siamo in un sistema che misura il benessere sulla crescita del consumo di merci, senza andare ad analizzare se queste merci sono effettivamente dei beni o meno. Noi diciamo che la prima cosa da fare è diminuire la produzione e il consumo delle merci che non sono anche beni.

E le rinnovabili come si collocano in questa logica?
Se non si affronta questo primo passaggio le fonti rinnovabili danno dei contributi molto modesti e non ripagano i loro costi; solo dopo averlo affrontato diventano interessanti. Noi abbiamo una situazione in cui, nel riscaldamento degli edifici, nella produzione termoelettrica, nei trasporti, si sprecano i due terzi dell’energia. La prima cosa da fare è ridurre gli sprechi perché un sistema che spreca i due terzi dell’energia è come un secchio bucato: se ho un secchio bucato la prima cosa di cui devo preoccuparmi non è di cambiare la fonte con cui lo riempio ma di tappare i buchi. In Italia è stata fatta la scelta di dare la priorità alla promozione delle fonti alternative rispetto alla riduzione degli sprechi. Da Kyoto in avanti quasi tutti gli interventi di finanziamento statali sono stati per le fonti rinnovabili. Quale è stato il risultato di questi (modesti) interventi? Le fonti rinnovabili in Italia danno un contributo ancora risibile, ma non ad esempio in Germania, perché lì hanno attuato una doppia strategia: 1) riduzione dei consumi, 2) sostituzione delle fonti. Loro riescono a soddisfare con le fonti rinnovabili un percentuale del fabbisogno energetico molto maggiore di noi. Privilegiando le fonti alternative rispetto a una strategia complessiva che vedesse una diminuzione degli sprechi, noi, pur avendo speso dei soldi, anziché diminuire le emissioni di CO2 del 6-7% le abbiamo aumentate del 13,5%. In un sistema che spreca i due terzi dell’energia porre l’accento come primo punto sulla sostituzione delle fonti con fonti che sono più costose e rendono di meno (a meno che il prezzo del petrolio non salga ancora di più) significa non ottenere l’obiettivo che ci si era posti: noi a Kyoto ci eravamo impegnati non ad aumentare le rinnovabili, ma a diminuire la quantità di CO2 emessa. La diminuzione delle emissioni avviene in due modi: riducendo i consumi o sostituendo le fonti fossili con le rinnovabili.

La strategia della decrescita è un approccio sistemico integrato che vede come primo elemento la riduzione dei consumi. Se diminuiscono i consumi le fonti rinnovabili possono dare un contributo percentuale maggiore, e si ha anche un risparmio economico che si può investire nelle rinnovabili. La diminuzione dei consumi è dunque la premessa fondamentale per uno sviluppo significativo delle fonti rinnovabili, sia da un punto di vista del fabbisogno energetico che da un punto di vista finanziario.

Dunque efficienza prima di tutto. Quali sono le altre caratteristiche del modello energetico che vorrebbe?
Le fonti rinnovabili devono svilupparsi su piccola scala e per autoconsumo. Non su grandi centrali che hanno comunque un impatto ambientale, di qualsiasi genere siano. Anche una centrale fotovoltaica copre ettari ed ettari e impedisce la fotosintesi clorofilliana. Per fare una grande centrale eolica si incide sul paesaggio realizzando strade di servizio sui crinali interessati, fondamenta profonde di cemento, piloni alti fino a 120 metri di altezza, mentre esistono degli impianti eolici da 1-2 kW di potenza che possono essere installate all’interno di un giardino di casa e che non hanno nessun impatto ambientale.

Allo stesso modo i moduli fotovoltaici messi sul tetto di una casa non hanno nessun impatto ambientale. La strategia per aumentare la nostra indipendenza energetica e diminuire la nostra dipendenza dalle fonti fossili per me passa per tre punti. Primo, riduzione dei consumi: qui possiamo ottenere risultati straordinari. Ogni volta che si riducono i consumi di una merce che non è un bene, di gasolio o di gas che si spreca perché abbiamo case mal costruite, otteniamo una decrescita del Pil e un miglioramento del benessere. Secondo elemento, lo sviluppo delle rinnovabili: sicuramente in una prima fase fa crescere il Pil, ma in un certo numero di anni l’energia prodotta ammortizza il costo dell’installazione dell’impianto, e da quel momento in avanti il Pil scende perché non si devono più acquistare combustibili fossili. Terzo elemento: piccoli impianti per autoconsumo con scambio delle eccedenze quando se ne consuma meno di quanta se ne produce, la commercializzazione, che è un elemento di crescita del Pil, si riduce perché tutto quello che si autoproduce si toglie dal mercato.

(continua…)

Intervista di Giulio Meneghello

 
2 settembre 2008
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