Il Pil, l’energia e il secchio bucato (2)

  • 3 Settembre 2008

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Quali incentivi e strategie per diminuire lo spreco di energia? Continuiamo la nostra chiacchierata con Maurizio Pallante, che ci parla di cogenerazione, buoni esempi, diagnosi energetiche e scelte dei singoli.

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Nella prima parte dell’intervista, pubblicata ieri, Maurizio Pallante, esperto di energie e teorico della “decrescita”, ci ha spiegato perché la premessa fondamentale di una politica energetica razionale è ridurre gli sprechi. In questa seconda parte ci dà degli interessanti spunti per iniziare ad “aggiustare il secchio bucato” .

Pallante, abbiamo detto dunque che ridurre lo spreco di energia è il punto di partenza. Che ruolo potrebbe avere in quest’ottica una tecnologia come la cogenerazione, che permette di produrre, anche in casa, nello stesso momento sia calore che elettricità, raddoppiando così l’efficienza delle fonti esistenti?
La cogenerazione credo abbia un ruolo determinante nella fase ponte di passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili. Tutta l’energia da fonti fossili che noi consumiamo per il riscaldamento è uno spreco. Tutta quell’energia che non riusciamo a sostituire immediatamente con fonti rinnovabili può essere prodotta in modo molto più intelligente.
Ogni volta che si bruciano combustibili fossili si raggiungono delle temperature e una pressione tali da rendere possibile la generazione di energia elettrica: il cascame di energia, quella che non è più in grado di far girare una turbina per l’elettricità, ha però ancora una temperatura sufficiente per riscaldare un edificio. Se, accanto a risparmio energetico e rinnovabili, si potenziasse la cogenerazione diffusa (cioè la micro-cogenerazione, perché parliamo sempre di piccoli impianti per autoconsumo) potremmo utilizzare l’energia prima per produrre energia elettrica e dopo per riscaldare gli edifici, avendo un doppio rendimento. Siccome gli impianti sarebbero tarati sul fabbisogno termico degli edifici si produrrebbe un surplus di elettricità che rivenduta consentirebbe di ammortizzare in tempi brevi i costi dell’impianto. Usando bene l’energia fossile che già c’è, si potrebbe rendere non necessaria la costruzione di nuove centrali, di rigassificatori o di altri impianti.

Sono tecnologie, quelle dalla micro-cogenerazione, che esistono da decenni e che sono anche convenienti per gli utenti. Perché hanno avuto finora una così scarsa diffusione?
Finché si lavora in una situazione in cui c’è un monopolio o comunque un oligopolio nella produzione di energia elettrica, le società  produttrici sono molto potenti dal punto di vista economico e politico e faranno di tutto per impedire che si sviluppi l’autoproduzione di energia elettrica. Perché ogni autoproduttore è non solo un cliente in meno, ma anche un concorrente in più, visto che ha un surplus da vendere sul mercato. E chi autoproduce in cogenerazione, avendo un doppio rendimento, ha un investimento già redditizio e tutta l’energia elettrica in più può venderla anche a prezzi concorrenziali. Un’applicazione strategica della cogenerazione che mi viene in mente, che probabilmente resterà nei miei sogni, è presso gli enti pubblici.
Per esempio, se le Asl decidessero che tutti gli ospedali italiani venissero alimentati in cogenerazione si avrebbe una grossa riduzione dei costi per la sanità. Ma si avrebbe anche una rete di produttori di elettricità costante nel corso dell’anno: perché tutti gli ospedali hanno bisogno di riscaldamento d’inverno, di raffrescamento d’estate e di calore tecnologico per le sterilizzazioni e cose del genere; sono dei grandi consumatori di energia e in maniera continuativa, quindi con i sistemi di cogenerazione potrebbero fornire energia elettrica costantemente.
Inoltre, basti pensare che gli ospedali sono obbligati ad avere dei generatori autonomi, perché in caso di black out non possono restare senza elettricità. Quindi la spesa dei generatori la fanno comunque; ma se invece di acquistare generatori elettrici (che non vengono utilizzati quasi mai e sono dunque una spesa improduttiva) acquistassero dei cogeneratori non avrebbero costi aggiuntivi. E’ semplicemente una questione di volontà politica.

Una proposta molto interessante. La vede integrata in altre strategie?
La cosa che suggerisco è di partire da piccole esperienze pilota, perché diffido dei grandi progetti. Cominciare a definire, per esempio, che ci siano in ogni realtà regionale o cittadina edifici che consumino poco e che producano più energia rispetto a quella consumata. Questo vorrebbe dire costruire delle esperienze significative che possono scatenare dei processi di imitazione.
Soggetti che possono agire in questa maniera sono per esempio gli ospedali o gli edifici di culto o comunque della chiesa cattolica, che hanno un forte impatto comunicativo. Mi pare che la Conferenza episcopale italiana abbia in certa misura recepito questo genere di cose.
È chiaro che se cominciassimo a vedere in giro chiese, conventi, istituti religiosi che riducono gli sprechi energetici e autoproducono da fonti rinnovabili l’energia che consumano, questo avrebbe un forte impatto sull’opinione pubblica.
Altre realtà in cui sarebbe significativo agire sono quelle in cui si vogliono costruire nuovi impianti per la produzione di elettricità. Opporsi alla costruzione di nuovi impianti dicendo che il territorio ne sarebbe devastato, che avrebbe una vocazione economica diversa, non è sufficiente. Occorre dire: “noi non vogliamo la centrale termoelettrica (piuttosto che il rigassificatore, le trivellazioni petrolifere, il grande impianto a biomassa e così via),  perché stiamo provvedendo alla produzione di energia elettrica in una maniera meno impattante: stiamo rivedendo gli sprechi, sostituendo le fonti fossili con le rinnovabili, stiamo costituendo una rete di autoproduttori che si scambiano in loco le eccedenze”. La cosa importante e significativa  è  generare  esperienze che la popolazione possa recepire anche perché maggiormente visibili e vicine alla loro realtà.

Quali sono i comportamenti dei singoli da favorire e come spingerli verso la consapevolezza che usare l’energia in modo efficiente è ormai un valore?
Dal 2007 la finanziaria ha introdotto una novità molto importante: per la prima volta sono stati stanziati incentivi per ridurre gli sprechi. La svolta c’è stata, ma va potenziata. Bisogna fare in modo che i cittadini siano incentivati a ridurre gli sprechi e a reinvestire quello che risparmia nelle rinnovabili. Dovrebbero essere sostenute e finanziate le diagnosi energetiche.
Dopo una diagnosi energetica il singolo sa dove e quanto spreca e quali potenzialità ha con le rinnovabili. Per esempio, io vivo in una cascina ai margini di un bosco e ho messo un impianto di riscaldamento che utilizza la legna, solo dopo aver fatto delle opere di coibentazione, aver installato pannelli solari per l’acqua calda sanitaria e in previsione di installare anche pannelli fotovoltaici.
Quindi le persone, soprattutto oggi che il petrolio sta salendo a valori sempre maggiori, dovrebbero rendersi conto che ci sono delle scelte di responsabilità che consentono di avere lo stesso benessere consumando molto meno. Nei condomini, ad esempio, farei in modo che si pagasse il riscaldamento a consumo, e non a millesimi. Perché se io pago a millesimi non ho nessun incentivo a evitare la dispersione termica. Se pago a consumo , invece,  sono stimolato a mettere i doppi vetri poiché in un certo numero di anni il risparmio sul riscaldamento mi ammortizza l’investimento; posso inoltre essere incentivato a mettere le valvole termostatiche, perché non ha senso scaldare alla stessa temperatura tutto il giorno i vari ambienti della casa, oppure ancora, posso essere incentivato a non stare a casa in maniche corte d’inverno.
Le persone dovrebbero rendersi conto che usare bene l’energia prima di tutto è un vantaggio economico, che non toglie nessun benessere perché elimina solo uno spreco. In secondo luogo è un vantaggio ambientale, perché riduce le emissioni di CO2. Infine, riducendo i consumi e sostituendo le fonti fossili con le rinnovabili diminuiscono le motivazioni a fare le guerre per andare a prendere il petrolio dove c’è. Diminuendo la domanda di combustibili fossili si ridurrebbero le tensioni internazionali e si offrirebbe ai popoli più poveri una maggiore disponibilità di energia, diminuendo così anche la spinta a migrare: allo stato attuale noi portiamo via risorse da queste aree per poi sprecarle.

GM

3 settembre 2008

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