Un New Deal mondiale contro le emissioni

  • 9 Luglio 2008

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Per salvare  assieme pianeta ed economia occorre una soluzione globale. George Monbiot illustra la proposta "keynesiana" contenuta in un saggio di Oliver Tickell di prossima pubblicazione.

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Recessione economica, caro petrolio, cambiamenti climatici. Tre problematiche strettamente correlate tra loro che pongono una sfida su cui la società contemporanea si gioca il futuro. “La scelta per molti sembra essere tra difendere l’economia e salvare il pianeta: mentre la recessione avanza le pressioni politiche per abbandonare le politiche verdi si fanno più forti. Ma queste paure sono basate su un assunto sbagliato: che ci sia un alternativa a buon mercato a un’ economia verde”.

A scrivere così è George Monbiot, accademico ed esponente dei Verdi inglesi, nonché acuto opinionista specializzato in questioni ambientali. Se il mondo si trova ora ad affrontare la recessione per Monbiot è anche perchè i governi hanno creduto che si potesse scegliere tra economia ed ecologia. E lo hanno fatto sottovalutando questioni come quella del picco del petrolio che molti esperti stimano si raggiungerà nel 2010, mentre – come si può leggere in un report del 2005 commissionato dal Dipartimento per l’energia Usa – a meno che il mondo inizi a lavorare per trovare un sostituto valido all’oro nero 10 o 20 anni prima del picco dovrà affrontare una crisi “come la moderna società industriale non ne ha mai viste”. Se il prezzo del petrolio ora è così alto – scrive Monbiot – e se questo rincaro incide tanto è perché in questi anni non si è saputa ridurre la dipendenza da questo combustibile fossile.

“Qual è dunque la via d’uscita da questa situazione? – si chiede l’ecologista inglese – c’è un modo per abbandonare l’economia dei combustibili fossili senza subire dolorosi contraccolpi? Due cose sono ovvie. Abbiamo bisogno di un sistema globale e quello attuale, il protocollo di Kyoto, è fallito.” Il meccanismo del protocollo, infatti – sottolinea – “non pone un limite globale alle emissioni, i suoi obiettivi non sono coerenti con quanto dicono gli scienziati e non possono comunque essere innalzati, contiene scappatoie e buchi tanto grandi da farci passare unìintera petroliera”.

Veniamo, dunque, alle alternative. Monbiot fino ad ora aveva sostenuto un sistema da lui definito “contraction and convergence”, contrazione e convergenza. Ogni nazione – è il succo di questa proposta – dovrebbe arrivare ad avere lo stesso livello di emissioni pro capite: i paesi ricchi dovrebbero produrne meno mentre quelli in via di sviluppo potrebbero aumentare la loro quota. Un sistema che implicherebbe una sorta di emission trading a livello individuale: ogni nazione dovrebbe dividere la quota di emissioni concessa tra i cittadini che potrebbero poi scambiare i permessi tra loro. Una soluzione con il pregio di essere equa e di responsabilizzare i singoli, ma che dopo una recente lettura Monbiot ha abbandonato.

A cambiare l’opinione di Monbiot un saggio di prossima pubblicazione (esce il 30 luglio in inglese) “Kyoto2: how to manage the global greenhouse”, di Oliver Tickell, giornalista, ecologista e architetto dell’iniziativa Kyoto2 che si propone appunto come soluzione per il post Kyoto. Per Tickell dividere tra gli stati nazionali i diritti ad inquinare dà loro troppo potere, senza avere in cambio la garanzia che questi passino i permessi ai loro cittadini o che i soldi raccolti con l’emission trading vengano poi effettivamente investiti nell’economia verde. Senza contare che l’emission trading personale sarebbe difficilmente attuabile in paesi in cui larga parte della popolazione non ha nemmeno un conto corrente.

La proposta di Tickell è un’altra: stabilire un limite globale delle emissioni e poi vendere i permessi alle compagnie che estraggono o raffinano i combustibili fossili. Il vantaggio sarebbe di doversi limitare a regolare poche migliaia di società, anziché qualche miliardo di persone. Le industrie comprerebbero i permessi tramite un’asta globale, gestita da una coalizione delle varie banche centrali. Ci sarebbe un prezzo minimo, per assicurarsi che il costo della CO2 non scenda troppo, e un tetto massimo, giunte al quale le banche sarebbero obbligate a vendere i permessi, per evitare che costi eccessivi azzoppino l’economia mondiale. Le industrie dei combustibili fossili potrebbero acquistare permessi anche per il futuro, ma il fatto che i soldi ricavati sarebbero investiti nelle rinnovabili dovrebbe ridurre progressivamente la dipendenza dalle energie sporche. Tickell calcola che ponendo un limite abbastanza basso da rendere il mondo “carbon neutral” entro il 2050 il costo dei permessi sarebbe di 1.000 miliardi di dollari, circa l’ 1.5% del prodotto interno lordo mondiale.

Soldi che sarebbero spesi per mitigare gli effetti del global warming, incrementare l’efficenza energetica, aumentare la quota delle rinnovabili. Una proposta keynesiana in cui le risorse ricavate non scomparirebbero ma – scrive Monbiot – “verrebbero usate per dare il calcio d’inizio ad una nuova rivoluzione industriale verde, un New Deal non molto differente dall’originale (…). Non sarebbe la prima volta che il business viene salvato dalle misure a cui si oppone più fermamente.”

GM

9 luglio 2008

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