L’eco-edilizia italiana guarda a est

  • 26 Giugno 2008

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Sarà inaugurato il 27 giugno il rinnovato centro conferenze del Regional Environmental Centre, a Budapest,  un edificio a emissioni zero  ed energiceticamente autonomo. Parliamo con l'architetto, siciliano, che lo ha riprogettato, Mario Butera.

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Ci sarà un po’ di eco-edilizia made in Italy nel cuore di Budapest. È infatti un’ azienda palermitana ad aver ristrutturato il nuovo centro conferenze del Rec, il Regional Environmental Centre nella capitale ungherese. Un edificio a emissioni “zero” e a piena autosufficienza energetica grazie all’architettura passiva e ad impianti fotovoltaici e geotermici. La ristrutturazione, finanziata in parte dal ministero dell’Ambiente, era iniziata nel 2004 e l’edificio, rinnovato, verrà inaugurato il prossimo 27 giugno. Abbiamo rivolto alcune domande all’architetto Mario Butera che ha diretto il progetto.

Il 27 giugno si inaugurerà il rinnovato Regional Environmental Centre di Budapest. Come lo avete trovato quattro anni fa e come lo lasciate ora? Quali sono i principali interventi che avete eseguito per rendere l’edificio a emissioni zero?
È stata demolita completamente la facciata ed è stato demolito anche tutto l’interno. È stato praticamente ricostruito l’edificio, andando a mettere una nuova facciata a secco fortemente isolata, e a rimodulare tutte quelle che sono le aperture in base a quelle che sono le esigenze dell’illuminazione naturale e le esigenze energetiche. La facciata sud è una facciata completamente fotovoltaica, sul tetto è stata messa una pensilina che servirà a reggere un ulteriore impianto fotovoltaico che alimenterà l’edificio. Il corpo scala che originariamente era all’interno dell’edificio è stato spostato in un corpo esterno per migliorare la fruibilità dell’edificio stesso. Dopo di che c’è stata una riprogettazione totale degli spazi interni secondo esigenze di comfort abitativo, fatta con una sorta di progettazione partecipata assieme agli stessi utenti dell’edificio; per individuare le zone di confort termicometrico, quindi individuazione di zone termiche omogenee da mettere vicine. L’edificio in pratica è stato riprogettato interamente.

Sposando dunque risparmio energetico e vivibilità
Si, chi usufruiva dell’edificio aveva dei discomfort di vario tipo. Iniziando proprio da quelli del confort termico, essendo un edificio in alluminio e vetro. Era una facciata unica, un courtain wall continuo, dove soltanto in alcune piccole parti opache c’erano 3 centimetri di isolante…avendo Budapest un clima continentale, con temperature minime invernali attorno ai meno 20 e massime estive intorno ai 35-37 chiaramente il principale problema era il confort termico. Dopo di che c’era anche una serie di necessità di chi lavorava lì di avere dei servizi in più come una biblioteca, degli spazi espositivi multifunzionali, un posto dove fare il coffee break che sono chiaramente state tenute in considerazione nelle riprogettazione.

Un intervento immagino costoso. Si tratta di un investimento che rientrerà sotto forma di risparmio nei costi energetici dell’edificio?
Loro avevano dei grossi problemi a sostenere l’edificio proprio dal punto di vista dei costi energetici proprio per le sue caratteristiche di enorme consumo. Il costo sostenuto è paragonabile al costo di un edificio per uffici di nuova costruzione, del resto avendo fatto una ristrutturazione così pesante è come se fosse un edificio di nuova costruzione. Dai conti che abbiamo fatto siamo attorno ai 1600-1800 euro a metro quadro per ottenere un edificio a emissioni zero. Confrontando con i costi di costruzione di un edifico per uffici nel 2008 siamo addirittura un po’ sotto come costo al metro quadro, per cui non è un costo così esorbitante.

Un investimento che sarà recuperato in quanti anni?
E un calcolo difficile da fare perché dipende molto da come lo sfrutteranno. Noi ci siamo basati su dei profili di occupazione che ci hanno dato loro. Soprattutto per quanto riguarda sala conferenze e sale espositive. I tempi di ritorno economico dipenderanno da quanto sfrutteranno questi spazi. Prima dovevano limitare l’uso di queste sale proprio per l’impossibilità di garantire il confort a chi vi accedeva, ad esempio se c’erano troppe persone non riuscivano a garantire le condizioni di temperatura adeguate. Quindi un confronto prima e dopo è un po’ difficile da fare, noi abbiamo messo un sistema di monitoraggio all’interno dell’edificio che, al termine del primo anno, ci dirà quali sono i tempi di ritorno dell’investimento; dalle stime che abbiamo fatto dovrebbero essere attorno ai 6 anni.

L’Italia è un paese con edifici, storici o recenti, molto inefficienti. Quali potenzialità esistono per rendere più efficienti queste costruzioni?
Il recupero dell’esistente storico è una questione molto più complessa perché è chiaro che non si può intervenire in questa maniera così drastica: siamo andati a demolire praticamente tutto quello che non fosse struttura portante. Per quanto riguarda invece gli edifici realizzati dal dopoguerra in poi, in cemento armato la libertà è maggiore proprio per le caratteristiche costruttive: abbiamo una struttura che può venire disaccoppiata facilmente da quello che è l’involucro, su cui si può andare a lavorare. Quindi per quanto riguarda le costruzioni post-seconda guerra mondiale non in muratura portante le prospettive sono buone.

A livello di bilancio energetico, ma anche economico, quando conviene demolire e ricostruire ex-novo e quando invece è preferibile recuperare l’esistente?
Diciamo che è una valutazione che va fatta caso per caso, lì noi avevamo dei vincoli urbanistici che ci obbligavano a non demolire del tutto l’edificio. Quindi quando la demolizione è quasi totale si può dire che in realtà non convenga andarla a fare e poi riadattare quello che rimane, ma conviene effettivamente eliminare completamente il vecchio edificio e farlo nuovo. Non c’è comunque una regola per capire quando conviene demolire completamente o fare una ristrutturazione, in genere dipende molto dallo stato dell’edificio. Nel nostro caso avevamo fatto 3 ipotesi di ristrutturazione, 2 meno impattanti: una in cui andavamo semplicemente lavorare sulla facciata esistente rimodulando il rapporto tra superfici opache e superfici vetrate e isolando maggiormente le parti opache, un’altra in cui avremmo sostituito semplicemente la facciata mantenendo invece la suddivisione interna e il corpo scale interno e poi quella che abbiamo realizzato che ha comportato la demolizione quasi completa dell’edifico tranne che per le strutture portanti.

Parlando degli edifici  italiani esistenti , quali sono le soluzioni per aumentarne l’efficienza energetica con un rapporto costi benefici maggiore?
Bisognerebbe innanzitutto fare una distinzione in base alla tipologia di edificio per capire quel che si può fare. Nel nostro caso si trattava di un edificio che stava in un parco, di proprietà appunto del Regional Environmental Centre, quindi un edificio isolato, per il quale si è potuto applicare ad esempio il fatto di fare la facciata sud completamente fotovoltaica e la pensilina sopra, e quindi avere una produzione di energia sufficiente a far funzionare l’intero edificio, che comunque è stato adattato dal punto di vista passivo, a consumare poco. Per gli edifici italiani si può dire che la prima soluzione è quella dell’isolamento, magari un isolamento a cappotto, quando possibile, ottimo in quanto a rapporto costi-benefici, soprattutto per quegli edifici che sono quasi del tutto non isolati. Dopo di che è importante lavorare sugli infissi ei serramenti, sia per renderli più performanti in quanto a dispersioni invernali, sia andando a lavorare sulle protezioni solare per diminuire l’irraggiamento solare estivo, che in un paese come il nostro ha la sua importanza: da noi a volte è più pesante il carico energetico per la climatizzazione estiva che per quella invernale.(…) C’è poi da tenere in considerazione l’efficienza degli impianti, noi a Budapest abbiamo utilizzato delle pompe di calore accoppiate a delle sonde geotermiche che hanno delle prestazioni molto alte dal punto di vista della produzione di energia (…) e come terminale di emissione abbiamo utilizzato dei settori radianti. L’integrazione delle varie soluzione tecnologiche è sempre il meglio e anche in questo caso la sostenibilità energetica degli edifici non ha una ricetta assoluta, ha delle strategie che caso per caso vanno applicate a seconda delle necessità dell’edificio.

GM
26 giugno 2008

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