Una struttura di 107 mila metri quadrati di estensione la cui costruzione dovrebbe iniziare a settembre. A realizzare l’investimento, circa 120 milioni di euro, Italian Bio Products, una società nata dall’unione delle forze del gruppo Mossi & Ghisolfi – gigante della chimica specializzato in plastiche e biocarburanti – e il gruppo Gavio – che fa capo a Marcellino Gavio, azionista di Impregilo ( il colosso delle costruzioni protagonista di molti grandi e discussi progetti: dallo smaltimento dei rifiuti campani, al ponte sullo Stretto, all’alta velocità).
Per il futuro Italian BioProducts pensa di ricavare l’etanolo anche dalla canna palustre che, racconta Guido Ghisolfi, amministratore delegato del gruppo M&G, in un’intervista a Blogeconomy, “cresce spontaneamente, richiede poca acqua e pochi fertilizzanti, costa un settimo del mais e non sottrae terreni all’alimentazione”. Un team di 40 ricercatori, spiega, vi sta lavorando in collaborazione con Mit, Dupont, Politecnico di Torino e Imperial College di Londra ed entro il 2012 sarà realizzato il primo impianto dimostrativo semindustriale. Intanto però l’etanolo prodotto dal megaimpianto sarà quello ricavato dal mais con le note implicazioni morali ed ambientali, che stanno suscitando la protesta della popolazione locale.
Il 7 giugno scorso erano infatti circa un migliaio – secondo il comitato promotore della manifestazione – le persone in piazza per dire “no” al nuovo impianto, non poche per una frazione, Rivalta , che conta appena 800 anime. A motivare il “no” sia i timori per l’impatto della raffineria sulla realtà locale, che le conseguenze ambientali e socio-economiche dei biocarburanti in generale. L’impianto, infatti, comporterebbe, tra l’altro, “480 ton./giorno di CO2 rilasciate in atmosfera, rumori, polveri, luminosità notturna, utilizzo massiccio di acqua in una zona predesertica e aumento del traffico pesante”. L’etanolo da mais inoltre – secondo i comitati contrari – non sarebbe conveniente perché “fornisce meno energia di quanta ne serve per produrlo, necessita di contributi pubblici per stare sul mercato, riduce di poco la CO2, ma fa aumentare l’ozono e alcuni gas pericolosi”. Infine, usare il mais per farne carburante, sottolineano, sarebbe “eticamente scorretto” perché si sottrarrebbe terreno alle coltivazioni ad uso alimentare contribuendo all’aumento dei prezzi dei cereali, in Italia e nel mondo. Un’opinione condivisa anche dall’ONU che ha definito la produzione di carburanti da colture alimentari “un crimine contro l’umanità”.
GM