Le intenzioni verdi del Giappone

  • 12 Giugno 2008

CATEGORIE:

Riduzione delle emissioni del 60-80% entro il 2050 e introduzione dell'emission trading all'europea: il primo ministro giapponese annuncia uno slancio nella lotta al global warming. Senza però prendere impegni troppo stringenti.

ADV
image_pdfimage_print
A un mese dal G8, che si terrà a luglio in terra nipponica e in cui si parlerà anche di lotta ai cambiamenti climatici, il Giappone annuncia un rinnovato impegno di riduzione delle emissioni di gas serra. Il paese può rispettare e anche superare gli obiettivi europei, e punterà per il 2050 a ridurre del 60-80% rispetto al livello attuale i gas climalteranti rilasciati, ha dichiarato a inizio settimana il primo ministro Yasuo Fukuda.

Il prossimo autunno – ha annunciato il premier giapponese – verrà introdotto in via sperimentale anche nel regno del sol levante un sistema di emission trading sul modello di quello europeo. Il Giappone inoltre contribuirà con 1,2 miliardi di dollari a un nuovo fondo multinazionale, cui partecipano anche Stati Uniti e Gran Bretagna, per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta al riscaldamento globale. La quota “carbon free” del mix energetico nipponico (rinnovabili, ma anche nucleare), infine, secondo Fukuda deve essere innalzata dall’attuale 40% fino a superare il 50 e si devono introdurre nuove imposte e incentivi per la tutela dell’ambiente.

Buone notizie dal fronte orientale? Qualcuno fa notare che quelle del primo ministro nipponico per ora restano solo parole. Inoltre, la riduzione delle emissioni annunciata è minore di quel che sembra, perché si riferisce ai livelli attuali (aumentati) anziché, come avviene per gli obiettivi europei, a quelli del 1990 – spiega alla Reuter Kathrin Gutmann, coordinatrice per le politiche climatiche del WWF. La pecca principale del piano giapponese poi è la mancanza di un obiettivo chiaro sul medio termine: quello che, invece, l’Unione europea ha stabilito nella riduzione entro il 2020 del 20% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990. Più deciso del premier in carica sulla lotta al global warming il Partito Democratico giapponese, all’opposizione, che propone come obiettivo al 2020 di ridurre le emisioni del 25% rispetto ai livelli del ’90.

Altra criticata omissione di Fukuda è di non aver definito una data precisa dell’avvio dell’emission trading a pieno regime e non in via sperimentale. L’introduzione di un mercato delle emissioni sul modello europeo d’altra parte è osteggiato da un vasto settore dell’industria giapponese, in primis quella siderurgica, che lo vede come una minaccia alla propria competitività internazionale. Finora le industrie giapponesi sono state sottoposte solamente a limitazioni volontarie e il paese sta faticando a raggiungere l’obiettivo imposto dal protocollo di Kyoto di ridurre entro il 2012 le emissioni del 6% rispetto ai livelli del 1990.

Un passo avanti quello del Giappone, ma ne dovranno seguire altri più sostanziosi. A livello internazionale per ora solo l’Unione europea si è posta un obiettivo chiaro a medio termine, il famoso meno 20 al 2020, e sta facendo pressione perché anche le altre nazioni industrializzate facciano altrettanto. Gli Stati Uniti (dove la settimana scorsa una proposta di legge per introdurre un sistema di emission trading è stata bocciata dal congresso) ancora latitano, dichiarandosi disposti ad accettare limiti solo se questi vengono imposti anche ai paesi emergenti. Novità ci saranno probabilmente con il ricambio alla Casa bianca. La Cina, infine, la cui crescita economica è alimentata a carbone (il 70% del mix energetico cinese), è al pari degli USA poco propensa a ridurre unilateralmente le proprie emissioni.

GM

12 giugno 2008
Potrebbero interessarti
ADV
×