Clima ed energia, l’Italia sulla difensiva

Le posizioni di Governo e Confindustria oscillano tra ostilità e ambiguità nei confronti degli obiettivi di Kyoto e del post-Kyoto. I prezzi crescenti dell'energia dovrebbero invece accelerare una vera rivoluzione energetica. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Sulla sfida del riscaldamento del Pianeta in Italia spira un’aria di déjà vu. Si ritrova lo stesso atteggiamento governativo di retroguardia (il Berlusconi dell’inizio del decennio) che puntava a una critica alle posizioni europee sul clima ammiccando agli Usa. E quello di Confindustria, sempre su posizioni difensive rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti.

«L’Italia vuole ridiscutere lo schema raggiunto con l’Unione Europea sul taglio delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra prima della conferenza di Copenhagen del 2009» ha dichiarato la ministra Stefania Prestigiacomo lo scorso 25 maggio alla riunione dei G8 in Giappone. Un’uscita clamorosa che ha ovviamente irritato la Commissione Europea e gli altri Stati membri. Una dichiarazione peraltro azzardata che non teneva conto della fermezza dell’Europa sulla questione del clima. E infatti al Consiglio dei ministri dell’Ambiente UE, svoltosi lo scorso 5 giugno in Lussemburgo, la posizione italiana si è ammorbidita. «L’Italia collaborerà attivamente e in maniera costruttiva alla definizione del pacchetto “clima-energia”, anche se c’è la necessità di chiarire alcuni aspetti critici per il nostro Paese» ha affermato la nostra ministra.

Totalmente condivisibile, invece, la critica di Prestigiacomo alla proposta sulla Direttiva sui limiti di emissione della CO2 delle automobili. «Il mercato europeo dell’auto deve essere orientato verso veicoli più efficienti e a minori emissioni, e non è accettabile questa proposta che, al contrario, premia le auto di maggiore cilindrata e consumo: in questo modo non si tutela l’ambiente e si penalizzano le industrie europee, tra cui l’industria italiana, che producono autoveicoli più efficienti e a basse emissioni».

Dal canto suo Emma Marcegaglia, nel discorso di insediamento come presidente di Confindustria, ha dichiarato «non possiamo nemmeno accettare impostazioni autolesionistiche, come continuare con l’adozione unilaterale del Protocollo di Kyoto. Condividiamo l’idea di interventi coordinati per i cambiamenti climatici. Ma non accettiamo un atteggiamento che rischia di rendere difficile e costosissimo fare impresa in Europa, lasciando che chiunque inquini a piacimento fuori dal nostro territorio».
Nel merito, alcune argomentazioni sostenute da Confindustria e Ministero Ambiente potrebbero anche essere condivisibili. Ma lascia invece sconcertati il messaggio complessivo che deriva dalla reiterazione di queste posizioni, con un’Italia sempre sulla difensiva. Altri Paesi, come la Gran Bretagna e la Germania, fanno sapere che faranno di più di quanto viene richiesto loro. Noi invece facciamo la figura degli ultimi della classe che si lamentano sempre, pur non avendo nemmeno svolto i compiti a casa.

E questo in un contesto internazionale molto cambiato. Chiunque vincerà nella sfida per la Casa Bianca porterà infatti aria nuova nelle trattative climatiche. Sia Obama che McCain hanno posizioni diametralmente opposte rispetto a quelle di Bush. E se le trattative internazionali sul post-Kyoto avranno un approdo positivo, ciò sarà in gran parte dovuto alla ferma posizione dell’Europa che con la decisione unilaterale di ridurre le emissioni al 2020 ha creato un terreno favorevole al coinvolgimento di tutti i Paesi, dagli Usa alla Russia, dalla Cina al Brasile.
Tornando all’Italia, smettiamola di lamentarci e cerchiamo invece di cogliere le gigantesche opportunità della rivoluzione energetica che non potrà che accelerarsi alla luce dei crescenti prezzi dei combustibili fossili e fissili, cioè l’uranio.
 

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