In onda lo spot nucleare

  • 10 Giugno 2008

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Grande e generalizzato entusiasmo per le dichiarazioni del Ministro Scajola sul ritorno al nucleare in 5 anni. Mancano però molti elementi di razionalità in questo rilancio dell'atomo: qual è la reale tempistica, i costi, le tecnologie da utilizzare, come smaltire le scorie?

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Il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, rilancia il nucleare entro cinque anni. Abbracci e baci con Confindustria. Giornali, Tv e radio nazionali riprendono in massa la notizia e, con pochissime eccezioni, tutti lo fanno con grande entusiasmo. Ma non è una novità che la nostra editoria è sostenuta da grandi gruppi economico-industriali e con il nucleare di business per lo loro ce ne sarebbe a volontà, soprattutto se gran parte dell’onere finanziario del progetto se lo carica sul groppone lo Stato, cioè noi contribuenti.
Cosa sta spingendo verso queste scelte, a dire il vero molto “mediatiche”? L’ondata emotiva legata al prezzo del petrolio a 135 $? E qual è lo scopo di costruire qualche centrale nucleare in Italia: la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico? Ridurre il costo del kWh? Ma di cosa stiamo concretamente parlando? Quali sarebbero le centrali di nuova generazione alle quali il Ministro fa riferimento?

Innanzitutto, per l’attuale generazione nucleare i problemi restano quelli di sempre. Vediamoli in estrema sintesi:

  • la sicurezza delle centrali
  • la scelta dei siti più adatti
  • la gestione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti
  • i costi di costruzione e gestione degli impianti che non potrebbero essere sostenuti neanche dai colossi energetici senza i sussidi statali
  • le riserve naturali sempre più scarse di uranio
  • la loro protezione da eventuali attacchi terroristici
  • il rischio della proliferazione di armi nucleari
  • le emissioni climalteranti nella fase di estrazione dell’uranio (vedi articolo Qualenergia.it).

La mossa clamorosa di Scajola di un un ritorno al nucleare perderebbe allora tutto il suo impatto, ripeto mediatico, se si chiariscono i veri tempi di realizzazione delle centrali. Oggi per l’Italia tornare a far funzionare il nucleare, quello attuale, servirebbero per questioni tecnologiche e procedurali non 5 ma 15 anni.
Ma, a parte questo aspetto, sappiamo anche che gli impianti di terza generazione presenti in Europa avranno ancora una vita breve. Gli attuali reattori sono infatti quelli che usano solo la parte fissile del combustibile pari a circa il 2% dell’uranio e hanno il grave problema della grande produzione delle scorie e della loro difficile gestione. Anche gli esperti del settore dicono (vedi Ilsole24ore, 23 maggio 2008) che “le centrali di terza generazione non sono più praticabili” e “bisogna pensare alla loro sostituzione”.

La quarta generazione, quella dei reattori autofertilizzanti (capaci di bruciare tutto il combustibile e simultaneamente gli stessi rifiuti) è lungi dall’essere pronta. Gli Stati Uniti che guidano un consorzio di vari paesi che si chiama, appunto, “Generation Four”, vogliono realizzare un prototipo (si badi bene, prototipo) nel 2025. E molti sono ancora i problemi da risolvere per queste nuove tecnologie. Anche Carlo Rubbia ha più volte detto che i reattori di quarta generazione non sono però la soluzione, perché lasciano pressoché invariato il problema dello smaltimento delle scorie.

I costi. L’Edison parla di 2 miliardi di euro per centrale, ma anche alla luce di quanto sta costando la centrale in costruzione a Olkiluoto in Finlandia, bisognerebbe considerarne almeno il doppio, se non di più (stimati 4,5 miliardi di euro). In questo caso, dai costi del progetto, in ritardo di circa due anni rispetto ai piani, vanno esclusi quelli relativi alla chiusura del ciclo del combustibile che si accollerà lo Stato, cioè denaro pubblico per lo smaltimento delle scorie e lo smantellamento della centrale.

Altro aspetto chiave. In Italia non esiste un deposito per le scorie neanche per stoccare quelle del vecchio nucleare italiano, oggi sparse in vari siti che hanno caratteristiche di scarsa sicurezza. Ad esempio,  secondo Raffaello De Felice, ultimo responsabile del settore impianti nucleari dell’Enel alla fine degli anni ’80 e attualmente consulente per i progetti esteri della società, “non è possibile avviare un nuovo programma nucleare senza risolvere questo problema”.
Molto sarebbe da dire anche sul reale contributo della produzione elettrica da nucleare. Quante centrali dovrebbero essere costruite per dare una dimensione significativa al ritorno nucleare nel nostro paese? E soprattutto con quale denaro e per quale progetto di crescita del paese?
La verità è che la scelta di produrre miliardi di chilowattora con l’atomo distoglierà risorse economiche dalle politiche di utilizzo razionale dell’energia e dalla diffusione delle fonti rinnovabili, le uniche scelte coerenti e moderne che un paese dovrebbe percorrere.

LB

23 maggio 2008

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