“L’ammontare dell’uranio recuperabile, dato in qualche modo incerto – si legge sullo studio degli scienziati australiani – è chiaramente legato allo sforzo esplorativo, alla tecnologia e all’economia, ma anche a costi ambientali come il consumo di energia, acqua e sostanze chimiche e l’emissione di gas serra. Questi cruciali aspetti ambientali dell’estrazione si iniziano a capire solo ora.”
I costi per l’estrazione, secondo Gavin M. Mudd e Mark Diesendorf della Monash University di Sidney, sono poi destinati a salire. Vista l’esplorazione massiva degli ultimi 50 anni – spiegano gli accademici nello studio uscito sulla rivista “Environmental Science and Technology” – ogni nuovo deposito trovato sarà con ogni probabilità più in profondità rispetto agli altri. Inoltre, la tendenza a livello mondiale nell’ultimo mezzo secolo è un costante declino nel grado di purezza del minerale grezzo: il grado di purezza medio negli Satati Uniti, ad esempio, è un terzo di quello che era negli anni ’50. Dunque in futuro occorrerà scavare di più e si otterrà anche materiale di più bassa qualità che dunque farà spendere più energia anche in fase di lavorazione.
“Nel tempo, con il declino del grado di purezza del minerale grezzo e per la maggiore richiesta di energia per la produzione dell’uranio, il nucleare andrà verso un’intensità di emissioni di CO2 sempre più alta, che potrà divenire simile a quella dell’elettricità da gas naturale – spiega Mudd a Science Live – e questo potrebbe accadere tra qualche decennio anche se è difficile quantificarlo con precisione.”
GM
5 maggio 2008