Cattura della CO2, la falsa speranza

  • 6 Maggio 2008

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Un nuovo dossier  di Greenpeace sulla cattura e il sequestro dell'anidride carbonica. Per l'associazione una tecnologia rischiosa e inefficente che sposta l'attenzione da soluzioni più efficaci e incoraggia a continuare sull'inquinante strada del carbone.

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La CCS, ossia la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica? Una falsa speranza. Si intitola così, in inglese “False Hope” il rapporto che Greenpeace ha appena pubblicato sul tema e diffuso a livello mondiale. La tecnologia della CCS – spiega l’associazione ambientalista – è stata venduta come panacea per risolvere il problema delle emissioni, ma la realtà delle cose è ben diversa.

Innanzitutto la tecnologia per la CCS è tutt’altro che pronta: “non è ancora applicata su nessuna grande centrale a carbone”, segnala Greenpeace. Per scongiurare il cambiamento climatico le emissioni di gas serra dovrebbero calare già dal 2015, ma nella migliore delle ipotesi la CCS potrà essere operativa per il 2030, mentre secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) non sarà applicabile su scala industriale prima del 2050. E la cosa peggiore è che la promessa della nuova tecnologia viene usata per giustificare la costruzione di nuove centrali a carbone, che aggraveranno ulteriormente il problema delle emissioni.

Ma la CCS, oltre al ritardo nei tempi di applicazione, ha diversi altri punti dolenti che il rapporto di Greenpeace non manca di evidenziare. Innanzi tutto i rischi ambientali. Se i serbatoi naturali in cui si seppellirebbe la CO2 avessero perdite anche solo dell’1%, gli effetti positivi sul clima sarebbero vanificati, senza contare che nessuna sa se ci siano sufficienti cavità sotterranee per l’anidride carbonica che si dovrebbe immagazzinare. I test, si legge sul dossier, hanno già evidenziato come potrebbero verificarsi imprevisti: ad esempio la CO2 può corrodere gli stessi materiali da cui dovrebbe essere imprigionata. I possibili effetti di fuoriuscite, inoltre, potrebbero creare danni agli ecosistemi e alla salute o inquinare falde acquifere: non è un caso – rimarca Greenpeace – che le industrie siano restie a investire sulla CCS senza garanzie di non dover rispondere di eventuali danni futuri.

Oltre ai rischi, un altro grosso punto a sfavore della CCS su cui “False Hope” si sofferma è il notevole spreco di energia che questa tecnologia implica. La carbon capture assorbe dal 10 al 40% della potenza di una centrale: tutto carbone in più che deve essere estratto, trasportato e bruciato. E la CCS influisce anche sui consumi d’acqua: una centrale con questa tecnologia ha bisogno del 90% di acqua in più di una senza.

Per Greenpeace la carbon capture “cancellerebbe i miglioramenti in efficienza degli ultimi 50 anni e aumenterebbe di un terzo il consumo delle risorse”. I prezzi dell’elettricità, si legge sul report, se verrà applicata la CCS cresceranno ovunque, e la tecnologia per decollare avrà bisogno di grossi finanziamenti pubblici, con il rischio che questi soldi vengano sottratti alle “vere soluzioni”. Un esempio è l’eolico che – sottolinea Greenpeace – fornisce già elettricità a un prezzo molto minore di quello che potrà fare una centrale a carbone equipaggiata con tecnologia per la cattura della CO2.

In Italia, Francesco Tedesco, responsabile campagna Energia e Clima di Greenpeace ha dichiarato che “la CCS è una semplice truffa e che voler puntare su una tecnologia immatura, ignorando le fonti pulite già oggi disponibili, è ingiustificabile. Il compito del Governo e dell’industria è ridurre le emissioni di gas serra, non trovare scuse per continuare a produrle come se nulla fosse”.
“In Italia Enel si continua a parlare di ‘carbone pulito’, – dice Tedesco – lasciandoci credere che sarebbe possibile confinare fin da oggi le emissioni di CO2 sottoterra anche se questo è molto lontano dalla realtà delle cose”. “Se così non fosse, l’azienda abbia il coraggio di non inaugurare la nuova centrale a carbone di Civitavecchia fino a quando non sarà in grado di sequestrarne le emissioni di CO2”.
Ogni anno infatti l’impianto di Civitavecchia immetterà in atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2, mentre l’Italia dovrebbe abbatterne quasi 90 milioni per rientrare nei parameri di Kyoto entro il 2012.

Secondo Greenpeace, futili investimenti nella CCS minacciano di sottrarre risorse per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e di iniziative di efficienza energetica, le uniche vere soluzioni per contrastare i peggiori effetti dei cambiamenti climatici, così come l’associazione ha già mostrato a livello internazionale attraverso i rapporti “Energy [R]evolution” e “Future Investments”.
Molti Governi stanno già riversando soldi pubblici nella CCS, e la stessa Commissione europea subisce le pressioni di compagnie energetiche che chiedono di ricevere incentivi per una tecnologia inutile. Proprio per questo possibile riorientamento di risorse che bisognerà raddoppiare gli sforzi per migliorare e diffondere più rapidamente le tecnologie veramente pulite, come il solare, l’eolico, l’utilizzo moderno delle biomasse, la geotermia, oltre che l’efficienza energetica.

6 maggio 2008

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