L’isola delle rinnovabili

  • 24 Aprile 2008

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In Islanda il 100% dell'elettricità e del calore viene da idroelettrico e geotermico. Energia pulita abbondante e a buon mercato tanto che gli islandesi stanno invitando sull'isola industrie energivore, come quelle dell'information tecnology.

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Se il petrolio, come molti temono, ci abbandonerà la nazione al mondo che meno ne soffrirà sarà, a leggere un interessante reportage del Guardian, la fredda Islanda. Lì, complici condizioni geologiche e climatiche particolari, il 100% del fabbisogno di elettricità e di riscaldamento è già adesso soddisfatto con fonti rinnovabili. I corsi d’acqua che scendono dai ghiaccai dell’isola forniscono l’80% dell’elettricità, mentre il restante 20% viene ottenuto da centrali geotermiche.

Oltre a fornire elettricità la geotermia fornisce calore e acqua calda per il 90% delle case del paese: un risparmio di energia paragonabile a 646mila tonnellate all’anno di petrolio e che, secondo il governo islandese, vuol dire evitare di spendere 100 milioni di dollari all’anno in combustibili fossili che dovrebbero essere importati.

Il paese del nord atlantico, inoltre, sta compiendo ricerche per ottenere, usando l’abbondante elettricità da rinnovabili, idrogeno con cui alimentare i veicoli e la vasta flotta di imbarcazioni. Ma, aggiungiamo, anche l’opzione di veicoli alimentati direttamente da energia elettrica da fonti rinnovabili dovrebbe essere presa in considerazione, se non altro per la maggiore resa energetica.
Se il piano andrà a buon fine tra qualche decennio l’Islanda sarà veramente al 100% carbon free, al momento, infatti, gli islandesi sono tra gli europei con più emissioni procapite: colpa della scarsa popolazione (poco più di 300 mila) e dei mezzi di trasporto, soprattutto i molti peschercci e mercantili che funzionano ancora a derivati del petrolio.

Un’esperienza fortunata quella islandese che conta su condizioni geologiche e geografiche particolari ma che è anche relativamente recente: la geotermia nel paese si è iniziata a sfruttare dagli anni ’40, ma è solo con la crisi petrolifera degli anni ’70 che il paese ha cambiato la sua politica energetica: prima di allora il 75% dell’energia, fa notare la giornalista del Guardian Jessica Aldren, era ottenuto da fonti fossili.
Secondo i geologi le potenzialità del paese in termini di fonti rinnovabili sono ancora più grandi: l’Autorità nazionale per l’energia islandese stima che solo il 20-25% dell’idroelettrico tecnicamente e ambientalmente realizzabile sia stato finora imbrigliato e che solo il 20% del potenziale geotermico sia sfruttato. Il settore energetico in Islanda si sta espandendo e il paese esporta in tutto il mondo know-how per queste tecnologie. Nei prossimi anni, racconta il Guardian, sono in programma 5-6 nuove centrali idroelettriche e l’elettricità da geotermia si prevede possa raddoppiare entro il 2010.

Ma che fare (oltre al progetto sperimentale dell’idrogeno) con tutta questa energia pulita e a buon mercato che però l’Islanda, per la sua posizione geografica, non può esportare? Se l’energia non può essere portata nel resto del mondo si portino in Islanda le industrie che vogliono energia pulita e conveniente, sembra essere il ragionamento del governo islandese, che ha tagliato del 15% le tasse alle società e che si è impegnato a posare nuovi cavi sottomarini per trasmettere dati ad alta velocità verso Europa e America. Tra gli invitati al banchetto di energia pulita islandese il settore dell’information technology, i grossi server energivori: è recente l’annuncio di una partnership tra la grossa Hitachi Data Systems e Data Islandia che conserverà l’enorme mole di dati della multinazionale in una struttura alimentata al 100% da rinnovabili.

GM

24 aprile 2008

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