Un Bush verde pallido

  • 17 Aprile 2008

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II presidente americano annuncia il suo impegno contro i cambiamenti climatici: stop alla crescita delle emissioni entro il 2025, ma senza compromettere l'economia. Molta vaghezza nelle strategie e nessun impegno che non coinvolga anche le potenze emergenti.

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A nove mesi dalla scadenza del mandato, con i pretendenti alla Casa Bianca che hanno preso impegni importanti sul tema, specie i due democratici, anche George W. Bush ieri ha parlato di lotta al global warming.
Arrivare entro il 2025 ad arrestare la crescita delle emissioni negli Stati Uniti e da quella data iniziare a diminuirle, questo l’obiettivo annunciato dal presidente nell’atteso discorso pronunciato ieri pomeriggio in cui annuncia la sua strategia per combattere il cambiamenti climatici. Un impegno che va a rafforzare quello preso nel 2002 di ridurre l’intensità delle emissioni (ossia il rapporto tra emissioni e prodotto interno lordo) del 18% entro il 2012, ma che, come fanno notare in molti è troppo poco ambizioso rispetto a quanto raccomandato dalla comunità scientifica internazionale, secondo cui le emissioni globali dovrebbero raggiungere il picco entro 10-15 anni per poi essere tagliate del 50% entro metà secolo.

La strategia americana per la lotta al global warming, come sottolinea Bush fin dall’esordio del discorso, avrà come punto fermo quello di non penalizzare la crescita economica e garantire la sicurezza energetica del paese: “Molti sono preoccupati per gli effetti del cambiamento climatico sull’ambiente. Molti sono preoccupati degli effetti delle politiche contro il cambiamento climatico sull’economia. Io condivido queste preoccupazioni e penso che sia possibile conciliarle”.

Per ridurre le emissioni spiega l’inquilino della Casa Bianca si dovrà agire sul settore della produzione energetica. Sul come fare il presidente non entra nei dettagli: “Ci sono molte vie per raggiungere queste riduzioni, ma tutte le strade più responsabili passano attraverso lo sviluppo e l’impiego di nuove tecnologie”. Ciò su cui Bush è chiaro è invece la sua contrarietà ad un mercato delle emissioni sul modello di quello europeo: “La via sbagliata – secondo Bush – è minacciare tariffe e barriere protezionistiche, iniziare la guerra del commercio delle emissioni. E’ imporre unilateralmente costi che metterebbero le aziende americane in una situazione di svantaggio rispetto ai loro competitori esteri”.
Niente misure repressive, dunque, ma incentivi economici alle fonti che producono meno gas serra: per Bush la via giusta è “promuovere più nucleare che non ha emissioni, e incoraggiare gli investimenti per produrre elettricità dal carbone senza rilasciare CO2 nell’aria”.

La preoccupazione che il presidente ha espresso nel discorso, è anche quella che negli USA le decisioni in materia di politica ambientale vengano “scippate” all’esecutivo da parte del potere giudiziario: di recente la Corte Suprema ha preso iniziative in proposito richiedendo di legiferare per difendere il diritto degli americani alla salute e all’ambiente e varie Corti hanno emesso provvedimenti che imponevano di ridurre le emissioni rifacendosi a leggi preesistenti, come il Clean Air Act.
Per Bush se gli organi giudiziari “applicano le leggi interpretandole al di là dei loro limiti, potrebbero arrivare a costringere il governo a porre limiti di emissioni anche per i piccoli produttori di energia con conseguenze destabilizzanti per l’economia”.

Il discorso del presidente è risultato piuttosto vago e sembra più mirato a rassicurare chi teme le conseguenze economiche di eventuali politiche contro il global warming che non chi è preoccupato per il problema ambientale. Il senso del piano sui cambiamenti climatici – commenta il Wall Street Journal –  per i repubblicani pare essere quello di “evitare di non prendere iniziative durante questa legislatura per non rischiare di subire leggi terribili nella prossima”.

Il discorso di ieri, che giunge alla vigilia dell’incontro sul tema dei paesi che emettono più gas serra, il Major Economies Meeting (MEM), iniziato oggi a Parigi, non fa parlare di una conversione ambientalista di Bush: anche in materia di impegni internazionali si ribadisce la linea tenuta dagli Stati Uniti durante il suo governo.

In merito al MEM, tavola di discussione voluta proprio da Bush, che nel 2001 decise di far uscire gli USA dal Protocollo di Kyoto, le cui restrizioni riteneva penalizzanti per l’economia nazionale, il presidente ha ribadito che gli Stati Uniti non si impegneranno se non lo faranno le potenze industriali emergenti: “Stiamo lavorando per un accordo sul clima che implichi la partecipazione significativa di tutte le maggiori economie e non dia un passaggio gratis a nessuno”, ha dichiarato il G.W. Bush, facendo esplicito riferimento alla crescita economica di Cina e India e al suo impatto sul clima mondiale.

Dal MEM già oggi sono arrivate le prime critiche al piano Bush contro il global warming: il ministro dell’ambiente sudafricano Marthinus van Schalkwyk, ha definito le proposte della Casa Bianca “deludenti e poco ambiziose” specie se contrapposte a quanto gli altri paesi ricchi già fanno.
India e Cina hanno sottolineato che gli Stati Uniti dovrebbero impegnarsi a tagliare subito le emissioni in quanto paese sviluppato. Nazioni Unite e Francia hanno fatto notare come il piano americano preveda una riduzione troppo lieve rispetto alle raccomandazioni del UNFCCC.

GM

17 aprile 2008

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