Cause ed effetti del caro petrolio

  • 6 Marzo 2008

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Qualenergia.it intervista Ugo Bardi, presidente di ASPO, l'associazione che studia il picco del petrolio e del gas. Quali fattori conducono a prezzi oscillanti intorno ai 100 dollari e cosa comporteranno ulteriori aumenti. Le alternative da percorrere.

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Il prezzo del petrolio oscilla ormai attorno ai 100 $ al barile (105 oggi) e a queste cifre si prevede che la bolletta petrolifera, ovvero il costo per l’acquisto di petrolio e suoi prodotti dall’estero – arriverà ai massimi storici.
Se le quotazioni del greggio non dovessero cambiare tendenza, la bolletta di quest’anno potrebbe raggiungere ben 32 miliardi di euro: 6 miliardi in più del 2007, nonostante l’euro forte e un andamento dei consumi previsto anche quest’anno in calo.
Abbiamo chiesto una valutazione dei prezzi del petrolio e delle conseguenze che questo potrà comportare a Ugo Bardi, presidente di Aspo Italia, l’associazione che studia l’esaurimento delle riserve petrolifere.

Professor Bardi, quanto gli attuali prezzi del petrolio sono da attribuire al fatto che la risorsa sta diminuendo, anche grazie all’aumento della domanda e quanto alle speculazioni finanziarie?
L’aumento del prezzo del petrolio riguarda il periodo degli ultimi 6-7 anni e già nel marzo 1998, quindi esattamente dieci anni, i fondatori di Aspo avevano pubblicato un articolo su Scientific American in cui ipotizzavano che il petrolio avrebbe raggiunto questi prezzi e avevano visto giusto. Riguardo ai motivi, le speculazioni finanziarie incidono veramente poco, non più di qualche dollaro al barile anche perché non sono in grado di intervenire sul lungo periodo. Quindi le speculazioni sono quelle che, possiamo dire, determinano l’oscillazione di questi giorni attorno ai 100 $.

Allora l’aumento del prezzo è da attribuire alla diminuzione della risorsa, almeno della parte estraibile, quindi al picco di Hubbert?
In effetti il problema sta proprio nei costi di estrazione e nel fatto che in certe regioni come l’Arabia Saudita dove estrarre petrolio costa relativamente poco, attorno ai 15 $ al barile, non si riesce ad aumentare la produzione e ci sono dubbi anche sul fatto che si riesca a mantenere i livelli attuali. In altre regioni si estrae a costi molto più alti, anche sino a 70 $ dollari al barile e quindi il prezzo del petrolio è più alto.

Quali sono le regioni dove costa di più?

Sicuramente l’off-shore dell’Alaska, degli Stati Uniti e del Messico. Adesso pare ci sia un grosso giacimento nel golfo del Messico, ma ancora non si sa quanto sia davvero grande e quanto costerà estrarlo. Solo allora si potrà stabilire il prezzo.

L’aumento della domanda quanto influisce sui costi?
Questo va visto. Le economie emergenti sino ad ora sono riuscite a seguire prezzi del petrolio a 90 $, quindi la domanda ancora tiene. Il momento preoccupante sarà quando non ce lo potremo più permettere. Se arriveremo a un picco, forse di 120 $, la domanda non ce la farà a reggere e calerà di conseguenza.

Già adesso si lamentano problemi economici, questi incrementi potrebbero determinare uno shock dell’economia?
Comincia ad essere una situazione preoccupante e pesante e si riverbera sulle classi medio basse. Del resto dal momento che l’aumento del prezzo del petrolio si manifesta in prima battuta sul costo dei trasporti, e che questi sono un elemento importante nelle voci di costo, si ripercuote su tutti i settori.
A partire da quello minerario, in cui i costi del trasporto incidono per il 35%, ma anche sull’agricoltura, dove il prezzo del petrolio si risente sui trasporti, sul costo dei fertilizzanti e sui pesticidi e, infatti, il prezzo del grano è raddoppiato.

Ma l’alto costo del petrolio può essere un bene in termini ambientali, nel senso che può spingere verso altre risorse energetiche?
Può darsi di sì, come no. Perché se invece di usare petrolio si punta al carbone è un male.

Anche il carbone tra l’altro non è una fonte inesauribile.
Le conoscenze sull’abbondanza o meno del carbone sono più incerte, rispetto al petrolio. In Europa è in esaurimento e la fonte principale adesso è l’Australia ma costa molto esportarlo. Il carbone si trasporta peggio del petrolio, perché occupa maggiori volumi e richiede molta più energia, quindi dà risultati più scarsi rispetto al greggio. La Cina ha cessato di esportarlo proprio perché le esportazioni hanno questi problemi.

Si parla molto anche in questa campagna elettorale di tornare al nucleare, ma anche l’uranio non è inesauribile?
Sulle quantità di uranio ci sono forti controversie. Al momento abbiamo carenza di materia prima e i reattori funzionano soprattutto grazie alle scorte e all’uranio che era contenuto nelle bombe atomiche. Gli attuali consumi sono di circa 65.000 tonnellate/anno e la produzione attuale si attesta a 40.000 tonnellate l’anno. Quindi le rimanenti 25.000 derivano appunto dalle scorte e dalle bombe atomiche. La produzione mineraria sta riprendendo e si tratta di vedere se riuscirà a raggiungere il fabbisogno attuale, o eventualmente in aumento se aumenteranno i reattori, e soprattutto a quali costi.

Già adesso i costi del chilowattora nucleare non vengono ritenuti competitivi né rispetto al gas né rispetto al carbone, lo scrive Leonardo Maugeri nel suo libro “Con tutta l’energia possibile”.
L’energia nucleare ha costi nascosti. Anche la Francia che ha puntato molto su questa fonte energetica, quanto ha speso per costruire le centrali che possiede? Se non fosse intervenuto lo Stato a finanziarle non sarebbero mai state realizzate.
Io non sono contrario al nucleare, ma la situazione attuale non è favorevole a questo tipo di energia. Bisognerebbe invece puntare il massimo possibile sulle rinnovabili, come ha fatto la Germania, che ha ancora centrali nucleari, ma non ci conta più e ha fatto una programmazione che potrà portare il paese a raggiungere l’indipendenza energetica in 10 anni.
Anche noi continuiamo a importare energia nucleare e non c’è niente di male, ma dovremo andare sulle rinnovabili dieci volte più in fretta di quanto stiamo facendo attualmente. Tra l’altro ormai le fonti rinnovabili in combinazione tra loro e gestite in maniera intelligente possono garantire il 100% di energia tutto l’anno. Quelle dell’intermittenza ormai sono favole.

Il geotermico potrebbe essere, per noi , una fonte interessante?
Noi potremmo ottenere una buona resa dal geotermico, invece è attualmente fermo, perché è stato mal gestito. Peccato perché invece è una fonte che sta andando fortissimo in tutto il mondo. Gli Usa ad esempio stanno crescendo e noi invece siamo fermi al palo.

Intervista a cura di Lucia Venturi

6 marzo 2008

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