L’emission trading ad personam

  • 29 Febbraio 2008

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Commercio di CO2 tra singoli e permessi per vendere carburanti che le compagnie devono acquistare dai cittadini. In Irlanda e nel Regno Unito si discute di nuovi meccanismi che possano mettere l'individuo al centro della battaglia per ridurre le emissioni.

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Il riscaldamento globale, come dice la parola stessa, è un problema di dimensioni planetarie e le soluzioni proposte finora sono quelle che operano sulla più grande scala: il Protocollo di Kyoto prevede che per tagliare le emissioni si operi a livello di nazioni e i singoli stati hanno lavorato su interi settori industriali. Ma c’è chi pensa di coinvolgere direttamente gli individui partendo dal concetto che l’atmosfera è un bene economico per il quale tutti hanno diritto ad un dividendo uguale: in diversi paesi si sta pensando a politiche che trasportino sulla scala del singolo cittadino i meccanismi dell’emission trading.
D’altra parte – secondo la stima accettata dal Boston Globe che dedica a questo tema un articolo di approfondimento – i consumi dei singoli (trasporti, riscaldamento ed elettricità per l’abitazione) sono responsabili sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti. del 30-40% delle emissioni di gas serra.
Una soluzione, che non si può definire propriamente “personal emission trading” ma che prevede quote di energia distribuite ai cittadini, è ad esempio quella che sta studiando il governo irlandese e che potrebbe essere attuata già dal prossimo dicembre. Questo sistema, chiamato “cap and share” (ossia “metti un tetto e dividi”), almeno per un primo periodo si limiterebbe ai carburanti per gli autoveicoli. Se il piano verrà approvato una commissione deciderà ogni anno la quota di benzina e gasolio che potrà essere venduta nel paese; questa quota, tradotta in tonnellate di CO2, verrà poi divisa tra gli abitanti che riceveranno ciascuno un permesso. Le compagnie che importano gasolio e benzina nel paese per poterla vendere dovranno accaparrarsi questi permessi comperandoli dai cittadini. I singoli dunque potranno scegliere se stracciare il permesso ricevuto, evitando così che un certo quantitativo di emissioni da carburanti venga rilasciato, o se venderlo alle compagnie. I consumatori con questo sistema non sarebbero dunque incentivati direttamente al risparmio energetico, bensì compensati economicamente delle emissioni prodotte bruciando gasolio e benzina e i consumi sarebbero comunque scoraggiati in maniera indiretta, dato che la conseguenza immediata del “cap and share” sarebbe un rialzo del costo dei carburanti.

Uno schema di vero e proprio emission trading a livello personale è invece quello detto delle TEQs (ossia le tradable emission quotas) elaborato già nel 1996 dal pensatore ecologista ed esponente dei verdi inglesi David Fleming. Schema al quale il governo britannico, tra i più attenti alla questione del riscaldamento globale, guarda con interesse, tanto che il segretario all’ambiente Davib Miliband ha commissionato uno studio sulla sua applicabilità tuttora in corso.

Il meccanismo è abbastanza semplice: una commissione indipendente stabilirebbe ogni anno, sulla base degli obiettivi sottoscritti con il protocollo di Kyoto, un tetto massimo di emissioni di CO2 che il paese può rilasciare. Di questa quota di emissioni permesse, che andrebbe ridotta di anno in anno, il 40% sarebbe destinato agli usi dei singoli cittadini, mentre il resto andrebbe alle industrie e alla pubblica amministrazione.
Il 40% destinato agli individui verrebbe poi diviso in parti uguali tra gli abitanti, a questo punto ogni cittadino avrebbe a disposizione il permesso per emettere una certa quantità di CO2 ogni anno, una sorta di conto corrente in chilogrammi di anidride carbonica che ognuno poi gestirebbe come crede: tramite un sistema tipo quello delle carte di credito ogni qual volta si acquisti carburante o si paghi una bolletta da questo conto verrebbero scalate unità di CO2. Chi non usasse la quota che ha a disposizione potrebbe scegliere tra conservarla per l’anno successivo (quando le quote sarebbero più ristrette) o rivenderla a chi invece non riuscisse a farsela bastare.

I punti forti di questo metodo sono diversi, primo fra tutti quello di responsabilizzare i singoli nei confronti del problema del riscaldamento globale e di incentivare il risparmio energetico, rispetto alla carbon tax che è regressiva perché colpisce tutti nello stesso modo – dicono i sostenitori delle TEQs – questo schema è anche socialmente più equo perché “i meno abbienti che sono anche quelli che tendenzialmente consumano meno energia potrebbero avere un ritorno economico dai loro minori consumi rivendendo le loro quote”.
Le maggiori difficoltà invece sono date dai costi per far funzionare il sistema che conteggia i crediti di CO2 spesi attraverso questa sorta di “carta di credito per le emissioni”, ma, soprattutto, nel fare accettare politicamente il meccanismo ad una cultura liberale come quella anglosassone che potrebbe vedervi un’eccessiva intromissione dello Stato nella sfera dei consumi privati.

GM

29 febbraio 2008

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