L’industria delle rinnovabili contro la direttiva

  • 15 Gennaio 2008

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Una lettera aperta dell'associazione delle industrie europee delle rinnovabili al Presidente Barroso critica la bozza di direttiva nella parte dedicata all'elettricità: a rischio gli obiettivi al 2020, la competitività e la leadership dell'industria europea.

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E’ di ieri, 14 gennaio, la lettera aperta che l’EREC (European Renewable Energy Coucil) ha inviato al presidente della Commissione José Manuel Barroso in merito alla proposta di direttiva europea sulle rinnovabili che verrà presentata ufficialmente il prossimo 23 gennaio (vedi nostro articolo). La lettera è firmata da Arthouros Zervos, presidente dell’organizzazione delle industrie europee delle rinnovabili.

L’oggetto della lettera, lunga e articolata, è basato sulla presunta incapacità della direttiva proposta di assolvere agli obiettivi del 20% al 2020, creando distorsioni che potrebbero portare al rafforzamento di alcuni oligopoli e a uno sviluppo delle rinnovabili in Europa a macchia di leopardo.
I problemi riscontrati da Erec sono rilevati soprattutto nelle nuove proposte riguardanti il settore elettrico che andrebbero a minare l’attuale quadro normativo europeo, così come quelli presenti a livello nazionale. Al contrario, l’associazione sembra dare un giudizio positivo sulla parte che si riferisce ai benefici che la direttiva produrrebbe per l’energia termica da rinnovabili e i biocombustibili.

La principale critica si riferisce all’introduzione un meccanismo obbligatorio di scambio delle “garanzie di origine” (guarantees of origin – GoO) e di certificati verdi che dovrebbe realizzarsi a livello di industrie. Un approccio che, secondo Erec, sembra indicare l’intenzione di procedere verso una armonizzazione dei meccanismi di incentivazione oggi presenti nell’UE, mettendo in pericolo quelli che si sono dimostrati molto più efficienti (ad esempio i sistemi a tariffa fissa), sia in termini di risultati che di costi per la collettività. E tutto ciò senza un dibattito pubblico. Erec fa notare che la proposta è in controtendenza, visto che attualmente su 23 Paesi Membri solo 5 usano una sorta di meccanismo basato sui certificati verdi.

Perché secondo Erec questa proposta di direttiva (allo stato attuale) rischia di danneggiare gli schemi di sostegno di maggior successo per l’elettricità da rinnovabili?
Erec fa riferimento soprattutto all’articolo 8. Citando le stesse parole presenti nella Direttiva (art. 8, comma 3) fa capire come anche la Commissione si renda conto che la GoO possa danneggiare i meccanismi di incentivazioni nazionali, indicando l’eventualità di porre dei limiti al loro commercio, ma come eccezione (“In exception to paragraph 1, Member States may, in order to safeguard the viability of national support schemes, impose (…) limits on the transfer of guarantees of origin to or from other Member States”.).

Secondo Erec un simile schema, sia esso obbligatorio che su base volontaria, non darebbe la possibilità di sviluppare quelle tecnologie rinnovabili che oggi sono meno competitive, ma che domani potrebbero avere un ruolo importantissimo, con un grave danno per l’industria europea. Può essere il caso del fotovoltaico o del solare termodinamico, come anche l’energia dal mare. Le scelte quindi ricadrebbero solo sulle tecnologie oggi più efficienti dal punto di vista economico e con tempi di ritorno dell’investimento più rapidi.

Perché rafforzerebbe gli oligopoli energetici?
Uno schema di commercio obbligatorio dei certificati verdi o di “garanzie di origine” favorirebbe gli attuali grandi produttori di elettricità a causa degli alti costi iniziali di investimento e dei relativi rischi collegati ad un meccanismo di “trading system” di tale complessità, mentre le piccole e medie imprese non potrebbero inserirsi in questo schema a causa di risorse più limitate. Erec fa notare che sono state le stesse grandi aziende energetiche a spingere per questa ipotesi, aziende che spesso hanno ancora una quota marginale di rinnovabili nel loro portafoglio. Quelle che invece hanno già investito nel settore sono consapevoli dell’incertezza causata da un simile schema di supporto. Sono quelle stesse imprese, presenti in paesi come la Germania e la Spagna (con incentivi a tariffa fissa), che stanno decurtando una quota di mercato pari all’1,5% all’anno all’attuale industria energetica.
Ma il meccanismo indicato nell’articolo 8 della bozza di direttiva non va allora anche contro le regole di trasparenza e di correttezza della competitività?

Il fatto stesso che la Commissione chieda ad uno Stato Membro di aprire i suoi meccanismi di incentivazione nazionale per impianti installati in altri paesi europei con il solo scopo di raggiungere gli obiettivi interni, non consentirebbe allo Stato ospitante dell’impianto di rivedere, allargare e rafforzare i suoi incentivi, visto che aziende estere ne usufruiscono. Questo afferma Erec nella sua lettera aperta, per poi aggiungere: “Ma poi perché i cittadini di un paese dovrebbe pagare le tasse (per incentivi) per impianti e infrastrutture presenti altrove?” E tutto ciò rischierebbe di non consentire il raggiungimento del target previsto per il 2020, oltre che portare l’asticella del sostegno alle rinnovabili verso soglie molto basse.

Le proposte di Erec
Erec e le industrie delle energie rinnovabili chiedono alla Commissione che gli Stati Membri, responsabili dei target nazionali, lo siano anche dei meccanismi incentivanti e che il processo non venga lasciato in mano all’operatività delle singole aziende.

Inoltre, richiede che se uno Stato Membro volesse vendere i certificati verdi all’estero esso dovrebbe aver già ottenuto il proprio obiettivo interno. Tanto che sarebbe opportuno prevedere multe per quei Paesi membri che non rispetteranno gli obiettivi “intermedi” nazionali indicati in sede europea.

LB

La lettera aperta di Erec al Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso

15 gennaio 2008

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