Elogio della bicicletta

  • 10 Gennaio 2008

CATEGORIE:

"Elogio della bicicletta" a 35 anni dalla sua uscita è ormai un cult e quanto mai attuale. La bicicletta è solo il pretesto per una riflessione sullo stile di vita delle società moderne. Una recensione di Andrea Seminara.

ADV
image_pdfimage_print

elogio della bicicletta

“Elogio della bicicletta”, pubblicato da Bollati Boringhieri, è un bel libro: stimolante e ricco di spunti per riflettere. La bicicletta in sé c’entra poco ed è solo il pretesto per una riflessione sullo stile di vita delle società così dette “contemporanee”.

Il grottesco reale della moltiplicazione della possibilità di spostarsi da un punto a un altro moltiplica in modo innaturale anche lo spazio in cui tale possibilità viene esercitata.
L’autovettura colonizza in modo indiscriminato – e indisciplinato – gli spazi antropici e diventa spazio necessario: se a tutti gli uomini venisse “suggerita” una sorta di velocità all’incirca pari a quella che si può raggiungere su una bicicletta, non esisterebbe traffico, non esisterebbero congestioni, nervosismi, inquinamento e tutto potrebbe essere raggiungibile in modo più semplice con lo stesso impiego di tempo. La massa informe motorizzata, moltiplica gli ingombri urbani in modo assurdo e crea di fatto vere oligarchie tra i detentori della velocità, incrementando le disuguaglianze tra questi e coloro che invece la velocità sono costretti a subirla. Illich dimostra attraverso
un’acuta analisi che «gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni sociali produttive solo alla velocità della bicicletta».

Un libro “tutto d’un pezzo” e per alcuni versi severo, un libro che a una lettura superficiale potrebbe apparire anche “rigido” ovvero non disponibile a nessun ammiccamento alla flessibilità insita nel pensiero contemporaneo; un addentrarsi in profondità tra le pagine del libro, tuttavia, dimostra ancora una volta la lungimiranza dell’autore e soprattutto che nessun concetto può essere veramente espresso se non spinto al limite, almeno da un punto di vista di apprezzabilità teoretica. Alla fine rimane un’acutissima provocazione che spinge ad agire.

Nelle sue opere Illich ha sempre criticato i miti della modernità come: la scolarizzazione di massa, il concetto di lavoro, la salute e lo sviluppo a tutti i costi. Il pensiero di Illich è una scossa alle sicurezze profonde di ognuno, un
“modus criticandi” di molte idee che accompagnano i lati più aberranti della società. Alcuni passi sono straordinari per passione e per contenuto, una vera e propria apologia del possibile, della sostenibilità, della sua bellezza e della sua saggezza, un modello alternativo all’inquinamento soffocante. Illich, in sostanza, sostiene che il benessere della società basato su una politica energetica di sfruttamento e inquinamento degradi inevitabilmente l’ambiente fisico e le relazioni sociali, trasformando le persone in “schiavi energetici”. Se vogliamo ottenere rapporti sociali contraddistinti da alti livelli di equità l’unica scelta possibile è una tecnologia a basso livello energetico, una strategia alla portata di ogni nazione.

La bicicletta, contrapposta all’automobile, diventa quindi protagonista e simbolo di uno stile di vita che rifiuta il concetto di crisi energetica, una crisi che deriva da un consumo pro capite senza limiti.
La distinzione da cui partire è quella che passa tra trasporto e transito: il primo ha a che fare con la logica del valore di scambio e del monopolio radicale da parte del capitale industriale, mentre il secondo è prodotto dal lavoro ed è essenzialmente valore d’uso. Il trasporto, che tende a marginalizzare, fino a distruggerlo, il transito diventa progressivamente per gli individui un fattore alienante: «il passeggero che acconsente a vivere in un mondo monopolizzato dal trasporto diventa un forzato consumatore di distanze delle quali non può decidere né la forma né la lunghezza».

L’alienazione arriva a tal punto che “incontrarsi” significa per lui essere collegati dai veicoli. Illich conclude la sua analisi individuando tre modelli di mobilità nell’odierno scenario globale: società sottoattrezzate, che cioè non garantiscono il diritto all’automobilità dei cittadini nemmeno alla velocità della bicicletta; società sovraindustrializzate dove vige il dominio dell’industria del trasporto; società tertium datur: un modello che vada verso la duplice liberazione dall’opulenza e dalla carenza, che sposti l’asse dal trasporto al transito, dal monopolio alla libertà, che operi una «ristrutturazione sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive».
In coda al volume vi è anche un piccolo saggio dell’antropologo Franco La Cecla, intitolato Per una critica delle automobili, interessante e quanto mai efficace, dove viene fatto il punto trent’anni dopo il testo di Illich e dove si può intuire quanto egli sia stato lungimirante.

Andrea Seminara

Illich, Ivan
Elogio della bicicletta
Torino – Bollati Boringhieri, 2006
3- Scienze sociali (Economia. Politica. Diritto)
ISBN 978-88-339-1712-2

10 gennaio 2008

articolo pubblicato nella rubrica “Ecoteca” della rivista QualEnergia (n.5/2007)

Potrebbero interessarti
ADV
×