A rischio i negoziati sul clima

  • 14 Dicembre 2007

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Le trattative alla Conferenza di Bali non trovano soluzioni: Stati Uniti, Canada e Russia non accettano limiti quantificabili di riduzione delle emissioni. Al Gore accusa gli Usa, mentre i sindaci di New York e Londra chiedono con forza una riduzione del 60% entro il 2050.

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Uno dei temi più controversi alla Conferenza di Bali è il riferimento guida da inserire nella Road map di Bali sui limiti di emissione per i paesi sviluppati per il 2020, pari al 25-40%, come indicato nel IV° Rapporto Ipcc.
Talmente controverso che non è stato sufficiente lavorare fino alle 4 di mattina per arrivare ad una soluzione. I lavori stanno proseguendo ed è probabile che il negoziato andrà avanti anche tutta la prossima notte e si concluda nella prossima mattinata.

Gli Stati Uniti, sembra con il sostegno di Canada e Russia, vogliono l’eliminazione di ogni riferimento numerico. L’Unione Europea ritiene indispensabile, invece, tale riferimento e promette in caso contrario di boicottare il processo avviato ad ottobre da Bush a New York del Major Economies Meeting. Il Giappone sembra avere ammorbidito nelle ultime ore la propria opposizione all’inserimento del riferimento numerico. Per cercare la soluzione su questo punto è stato creato un gruppo ristretto di 20 paesi coordinato da Australia ed Argentina.

Ieri Al Gore, presente a Bali, ha dichiarato che se la conferenza procede a fatica la colpa è soprattutto degli americani, che “si muovono sul clima come un elefante in un negozio di cristalli”. Ha aggiunto che “non si tratta di un problema futuro, ma di un qualcosa che riguarda già oggi tutti noi e non si tratta di un problema politico o di un problema diplomatico, ma di un problema morale verso quei paesi già colpiti oggi dai cambiamenti climatici”.
Secondo Al Gore il vero problema è che i cambiamenti climatici non aspettano i tempi della politica e il sistema riformato dovrebbe già partire entro il 2010.
Parlando come fosse un Presidente, forse anche il prossimo, ha detto “Io vi dico: andate avanti anche senza gli Stati Uniti e lasciate uno spazio bianco nel foglio, che gli Stati Uniti riempiranno tra un anno e 40 giorni”. E’ l’invito fatto alla platea, in riferimento alle prossime elezioni presidenziali che tutti auspicano come un significativo cambio della politica climatica americana. Scrosciano gli applausi e molti presenti immaginano come sarebbe potuta essere la conferenza di Bali, se quelle elezioni contestate in le avesse vinte proprio lui e non Bush.

Sempre ieri, il sindaco di New York, M.R. Bloomberg, e il vicesindaco di Londra, Nicky Gravon hanno formalmente lanciato il “World mayors and local government climate protection agreement”. L’accordo parte dalla constatazione che per il 2030 due terzi dell’umanità vivrà in centri urbani, dove già oggi vive più della metà della popolazione mondiale e viene consumata più del 75% dell’energia prodotta. Ciò renderà ancora più vulnerabili le città ai cambiamenti climatici, soprattutto quelle dei paesi in via di sviluppo.
I sindaci intendono richiamare tutti i governi mondiali ad impegnarsi affinché l’aumento della temperatura del pianeta non arrivi a superare i 2° C. La richiesta, pertanto, è di arrivare a una riduzione delle emissioni del 60%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2050, con i paesi industrializzati impegnati a ridurre le proprie emissioni dell’80%, rispetto ai livelli attuali.

14 dicembre 2007

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