Nucleare pesante

  • 18 Settembre 2007

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Per chi crede alla bontà del nucleare come soluzione di tutti i problemi energetici e ambientali, alcuni dati sulla complessità e i costi della messa in sicurezza delle scorie radiottive negli Stati Uniti

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I problemi ambientali legati alla riduzione delle emissioni di gas serra che la Conferenza sui Cambiamenti Climatici ha messo sul piatto, come era prevedibile, hanno dato voce a chi pensa di ripresentare l’opzione nucleare come soluzione energetica salvifica perché, si afferma, è a basso contenuto di carbonio e in sintonia con i parametri imposti dal protocollo di Kyoto.
La posizione di questa testata sull’utilizzo della tecnologia nucleare e su queste argomentazioni è stata sempre molto esplicita (vedi alcuni articoli), tuttavia il fatto che la continua riproposizione delle tesi a favore di questa fonte abbia trovato una eco mediatica da parte di molti organi di stampa (cosa che accade periodicamente quando si parla di sfide future per il clima e l’energia), ci induce ancora una volta a richiamare l’attenzione su uno dei tanti aspetti irrisolti del nucleare, le scorie radioattive.

Allora è il caso di andare a vedere quello che succede in paesi in cui questa fonte è da tempo sfruttata. L’esempio più lampante ci viene dagli Stati Uniti. Con oltre 100 centrali nucleari attive e la presenza di un’industria degli armamenti che contribuisce alla produzione di scorie radioattive, gli Stati Uniti sono l’unico paese ad avere deciso di costruire un sito di stoccaggio definitivo per le scorie nucleari ad alta radioattività. Quest’ultima decisione si sta però rivelando molto complessa, non risolutiva ed estremamente costosa.

Il DOE (Dipartimento dell’energia statunitense) ha valutato che per raccogliere e conservare in maniera sicura gli oltre 37 milioni di metri cubi di materiali radioattivi (77.000 tonnellate), ora giacenti in 131 depositi di fortuna sparsi nel paese, ci vorranno dai 70 ai 100 anni, con una spesa che oscilla dai 200 ai 1000 miliardi di dollari.
Il progetto è quello di depositare “definitivamente” le scorie in un grande deposito sotterraneo (lungo 80 km), che sorgerà sotto il monte Yucca (a 300 m di profondità), nel Nevada, 160 km a nord ovest di Las Vegas e, al contempo, di decontaminare le vaste aree che oggi ospitano questi rifiuti. Costo dell’operazione: 8 miliardi di dollari per lo studio preliminare e per il progetto e 60 per la costruzione del deposito. Un’opera mastodontica anche dal punto di vista logistico, che richiederà l’utilizzo di 4600 fra treni e autocarri che dovranno viaggiare a lungo e per giunta con a bordo un materiale molto pericoloso.

La comunità scientifica si è divisa sul progetto e una parte ha molti dubbi sul fatto che il sito possa garantire per sempre la messa in sicurezza delle scorie. Molti esperti ritengono che l’attuale tecnologia utilizzata allo scopo (valutazioni tecniche e scelta dei materiali) sia ancora poco avanzata per una soluzione definitiva del problema.
Ad esempio, in merito al periodo di tempo considerato valido per la messa in sicurezza del materiale, circa 10.000 anni, c’è il disaccordo della National Academy of Sciences e del National Research Council che ritengono tale periodo insufficiente per un prodotto che rimarrà radioattivo per centinaia di migliaia di anni. Un esperto della Nuclear Regulatory Commission ha inoltre dichiarato che sarebbe opportuno fermare gli scavi e abbandonare il progetto, almeno così come è stato pensato. Secondo lui il blocco è necessario anche per le gravi omissioni e irregolarità compiute dai tecnici del servizio geologico. Altri studi hanno dimostrato che anche un modesto grado di umidità della zona (19 cm annui di pioggia) può corrodere i contenitori delle scorie nel corso di un periodo così lungo. A questi problemi vanno aggiunti il calore prodotto dai rifiuti nucleari e le conseguenti corrosioni dei contenitori, la sismicità dell’area, gli eventuali attentati terroristici al sito o durante il trasporto, ecc.

Ma il problema dello smaltimento degli impianti e delle scorie nucleari è un peso anche per chi, come l’Italia, ha dovuto gestire il nucleare solo per un breve periodo. Il programma di “decommissioning” del nucleare nel nostro paese, affidato alla società Sogin SpA, infatti richiede una spesa di 4,3 miliardi di euro.

LB

17 settembre 2007

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