Conferenza Clima: inutile adattamento senza mitigazione

  • 12 Settembre 2007

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I problemi: diminuzione delle risorse idriche, erosione costiera, aspetti legati all'agricoltura e alle foreste, la frammentazione del territorio. Ferrara avverte che vanno ridotte drasticamente le emissioni, altrimenti è inutile ogni strategia di adattamento

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conferenza nazionale cambiamenti climatici

“Il Mar Mediterraneo si riscalda di 0,6 gradi per decennio, ed è il mare che si riscalda di più”. E’ Vincenzo Ferrara, coordinatore della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici a tracciare la mappa dei “guai dell’Italia” causati dal riscaldamento globale, e qui con riferimento al mare.
Ferrara spiega che il mar mediterraneo si alza anche se questo fenomeno non è visibile rispetto agli altri mari che crescono di 3,1 millimetri all’anno. Collegato a questo problema, prosegue l’esperto, “c’è quello delle coste basse e dell’erosione costiera”.
In Italia la zona nord si abbassa, mentre quella sud si solleva e, inoltre, rileva Ferrara, oltre il 60% delle coste sono urbanizzate.
C’è poi il problema del “degassamento”, presente dove fa più caldo perché “dove fa caldo si degassa e si assorbe di meno, tante che le uniche zone dove si continua ad assorbire sono quelle artiche”. Ma di problemi Ferrara ne elenca altri: “la frammentazione del territorio e la migrazione degli ecosistemi verso nord”, ma, avverte, “solo quelli che si possono spostare”.

Ferrara in tono provocatorio avverte: “Se non ci sistemiamo casa, che ci adattiamo a fare! Non faccio adattamento se non razionalizzo. L’adattamento significa fare una grande opera di restauro ecologico”.
Elenca poi i quattro principali problemi dell’Italia.

  1. la diminuzione delle risorse idriche
  2. l’aspetto agrosistemico e forestale, un problema anche per l’agricoltura
  3. l’erosione costiera, aspetto che tocca anche il turismo
  4. gli aspetti territoriali, in particolare la frammentazione.

Questo quadro, unito alla razionalizzazione, ritenuta propedeutica all’adattamento, porta la necessità di un piano immediato di adattamento ai cambiamenti climatici. Ma serve anche il know how, ovvero un piano di ricerca. E ancora, sono necessari un piano sulla siccità e la desertificazione, un piano di difesa dal dissesto idrogeologico, un piano idrico e un piano nazionale del turismo.
Infine, rileva Ferrara, “è necessario adeguare la normativa sulla Via (valutazione di impatto ambientale) e la Vas (valutazione ambientale strategica). Non si può – aggiunge – dare l’ok a un’opera senza tenere conto di quello che succederà tra 20 o 30 anni con i cambiamenti climatici”.

Claudio Margottini, consigliere del ministro dell’Ambiente per il rischio idrogeologico, ha affrontato questo aspetto e le sue connessioni con i cambiamenti climatici. “Ci sono 13.000 aree a rischio, pari a 21.000 chilometri quadrati” ha detto Margottini. Il 9,8% delle aree è a elevato rischio idrogeologico, in particolare la Calabria, la Liguria, e l’area delle Langhe”. Soltanto per il rischio idrogeologico i costi sono stati importanti ma non ancora ben chiari. Dal 1968 al 1992 oltre 75 miliardi di euro e, in seguito si parla di 3 miliardi di euro per anno.
Soltanto la gestione delle opere pubbliche dal 2000 al 2005 è costata oltre 9 miliardi. Le alluvioni hanno avuto un costo dal 1951 al 2005 di oltre 16 miliardi di euro.
Per Margottini gli obiettivi sono la ricerca di base, e a cascata, “modelli e scenari, per arrivare a nuove politiche per un uso e una gestione del territorio”. Il dissesto idrogeologico, spiega Margottini, è “un’estremizzazione del ciclo idrogeologico che genera rischio e questo oggi subisce anche modifiche per l’aumento di CO2”. Secondo l’esperto “ci sono meno giorni di pioggia ma più pioggia in un giorno solo”. I quadri, rileva Margottini, “sono disomogenei e questo fa sì che non si abbia un riferimento chiaro sull’aumento dei fenomeni estremi, l’aumento delle frane e delle alluvioni”.
All’aumento del dissesto idrogeologico, si deve aggiungere l’uso del suolo causato dall’uomo”. Nelle aree a rischio, dice, “si continua a costruire ininterrottamente” e il problema è che “agiamo con molte incertezze per le riduzioni del rischio”. Quello che serve, rileva Margottini, è “l’incremento dei dati di base del sistema ambientale, mancano i modelli e le analisi della elaborazione socio-economica, la conoscenza dei processi fisici del sistema antropico”. Inoltre, si deve mettere insieme “la pianificazione, l’uso, la gestione del suolo e del territorio con un corretto dialogo tra le istituzioni”.

Gaetano Benedetto, vice capo di gabinetto del ministero dell’Ambiente, affronta il tema del piano di adattamento, che secondo lui rischia di servire a poco; Infatti, afferma “anche se già avessimo un piano di adattamento, gli effetti dei cambiamenti climatici li avvertiremmo comunque”. “Il concetto cardine per l’adattamento – continua – è che non c’è difesa del suolo se non c’è una corretta gestione del territorio, con un restauro, una destrutturazione del territorio”.
L’Italia, secondo Benedetto, ha problemi seri di desertificazione ed erosione, con una forte alterazione del territorio, con fenomeni di urbanizzazione, soprattutto al sud dove c’è un problema di abusivismo. Ma a fronte di questo c’è anche una carenza di politiche forestali, una non corretta gestione del territorio nelle pratiche agricole e, soprattutto, un’imprevedibilità dei fenomeni che abbiamo davanti. Molto importante, dice Benedetto, è “la direttiva UE sulle alluvioni, che si incardina sulla direttiva delle acque e dà un’indicazione in funzione del rischio alluvionale, che deve tenere conto degli effetti dei cambiamenti climatici”.

LB

Fonte Agenzia Dire

12 settembre 2007

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