Clima politico rovente in Australia

  • 12 Aprile 2007

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Le prossime elezioni australiane si giocano anche sul tema dei cambiamenti climatici e sulla politica energetica. Un articolo di Michele Villa di ERM - West Australia

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Il global warming sta scaldando il clima elettorale in Australia. La futura politica sui cambiamenti climatici, insieme alle prospettive di crescita economica e all’impegno australiano in Iraq, è considerata tra i temi che maggiormente influenzeranno il risultato elettorale nelle prossime elezioni federali previste alla fine del 2007.
Il primo ministro del governo federale, John Howard, dopo 11 anni di gestione ininterrotta al comando del Liberal Party (Centro Destra) rischia di perdere la leadership nazionale a favore di Kevin Rudd, capo della coalizione guidata dal Labor Party.

Il Labor ha già dichiarato l’intenzione di tagliare i gas serra del 60% entro il 2050, principalmente attraverso iniziative economiche a sostegno del green coal (carbone pulito, in considerazione della forte dipendenza energetica dal carbone), sviluppo delle fonti rinnovabili (curiosamente uno dei paesi più soleggiati e ventosi della terra fa pochissimo uso di tecnologie solari ed eoliche), adozione di uno schema nazionale di Emissions Trading da collegare ai mercati internazionali e promozione di collaborazione con altri paesi quali la Cina.
In materia, la politica di Howard, che si ostina a non ratificare Kyoto, per ora ha prodotto più confusione che risultati concreti, come è stato anche recentemente affermato dalla Productivity Commission, ente governativo di consulenza sulle politiche microeconomiche del governo australiano. La politica australiana sul climate change è stata valutata “un patchwork disgiunto e frammentato di misure che attraversano diversi settori e giurisdizioni”.

Il primo ministro, dichiarando di voler proteggere gli interessi economici australiani e la competitività locale rispetto ai paesi in via di sviluppo che ancora non sono soggetti ad obiettivi di riduzione vincolanti rispetto al Protocollo di Kyoto, si è sempre dimostrato tiepido all’idea di introdurre strumenti economici per il contenimento della CO2 (carbon tax o emissions trading). Da parte loro, gli stati federali hanno presentato alla fine dello scorso anno una proposta per un sistema di scambio dei permessi di emissione che non può essere ignorata dal governo centrale.
Sul piano internazionale, la mancata ratifica di Kyoto, se da una parte compiace l’alleato storico americano, dall’altra contrappone le scelte australiane alle politiche europea. Le polemiche con Nicholas Stern, che ha criticato l’immobilismo australiano, e con il presidente della Commisisone Europea Stavros Dimas che ha apertamente criticato le scelte su Kyoto, sono storia recente.

La partita interna, insieme ad alcuni lodevoli iniziative rivolte ai grandi produttori e consumatori di energia come il Greenhouse Challenge, sembra però giocata prevalentemente su gestione forestale, geo sequestrazione (iniezione nel sottosulo dei gas derivanti dalle attività di esplorazione e produzione di petrolio e gas naturale, che presenta ancora aspetti tecnologici ed economici problematici) e sviluppo del nucleare. Poca strada è stata fatta nello sviluppo delle fonti rinnovabili, del risparmio energetico e nella riduzione della dipendenza dal carbone.
Le ultime stime fatte dall’Australian Greenhouse Office non sono confortanti: le precedenti valutazioni sul progresso verso l’obiettivo di Kyoto (che comunque l’Australia dice di voler raggiungere), che prevede entro il 2010 un +8% rispetto ai valori di emissione del 1990, sono state riviste al rialzo e ora sembra che l’aumento tra il 1990 e il periodo di Kyoto 2008-2012 sarà pari al 9%.
In realtà la percentuale risulta contenuta e in linea con il target principalmente per effetto di modifiche nell’uso del suolo e per l’impatto delle iniziative di gestione forestale. Per il settore energetico (che comprende fonti stazionarie, trasporti ed emissioni fuggitive), le proiezioni prevedono un aumento del 150% al 2010 e del 180% (considerando anche misure di contenimento) al 2020. Nel 2010 il solo settore energetico produrrà emissioni di gas serra per un quantitaivo di poco inferiore alle analoghe emissioni italiane (e l’Australia ha un terzo della popolazione!).

Non sorprende, quindi, il fatto che Howard rischia di giocarsi il posto su queste cifre. Un recente sondaggio dell’Australian, il principale quotidiano nazionale, da’ Rudd in vantaggio nelle preferenze con il 49% rispetto al 36% di Howard. Analogamente, a un sondaggio del West Australian, quotidiano del Western Australia stato fortemente esposto alle emissioni di gas serra sia come produttore che come teatro di eventi climatici estremi, il 49% degli intevistati ha risposto che preferirebbe Rudd nella gestione delle problematiche dell’effetto serra rispetto al 26% che preferirebbe Howard.
Il dibattito politico diventerà sempre più caldo sotto l’implacabile sole australiano.

Michele Villa
Managing Partner Perth
ERM – Environmental Resources Management Australia Pty Ltd

13 aprile 2007

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