L’eolico offshore sostenibile

  • 15 Marzo 2007

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Qualenergia.it ha intervistato Gaetano Gaudiosi, presidente di OWEMES, associazione che si occupa di eolico offshore e altre tecnologie marine

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La giunta del Molise ha dato ieri parere negativo alla realizzazione di quella che poteva essere la prima centrale eolica offshore italiana: 54 aerogeneratori per 160 MW di potenza a 4-5 km dalla costa. La Regione Molise chiederà l’apertura di una VIA regionale e la convocazione di una Conferenza dei servizi per valutare il progetto. Del progetto ne abbiamo già parlato su questo portale.
Ora per capire un po’ di più sull’energia eolica offshore Qualenergia.it ha intervistato Gaetano Gaudiosi, presidente di OWEMES (Offshore Wind and other marine renewable Energy in Mediterranean and European Seas), associazione che si occupa di eolico offshore e altre tecnologie marine.

Cosa pensa ingegner Gaudiosi del progetto della centrale eolica a largo delle coste molisane?
Prima di bocciare un progetto andrebbe fatta un’analisi più accurata. Posso dire che chi lo ha progettato ha sbagliato nel proporlo senza una seria comunicazione e un vero coinvolgimento dei cittadini, tanto che, arrivata la notizia, sono stati creati numerosi comitati cittadini contrari al progetto. L’approccio invece dovrebbe essere, da una parte, più democratico e, dall’altra, più scientifico.
Ad esempio, in merito alla questione dell’inquinamento visivo, era possibile chiedere ad un ente indipendente di fare adeguate simulazioni in 3D, oggi facilmente eseguibili, per verificarne il reale impatto del progetto. Dopo averlo analizzato con attenzione si sarebbero potute fare delle modifiche, come ad esempio ridurre il numero delle turbine. Diversi sono i modi di risolvere la questione, ma andrebbe sempre fatto uno sforzo per capire, insieme alla popolazione, di cosa si sta parlando, chiarendo i possibili vantaggi economici e gli eventuali costi.
Questo succede da noi perché c’è troppa improvvisazione che ritengo sia causata dalla assoluta mancanza di regole e di linee guida nazionali.

Come si dovrebbe procedere per evitare un approccio che potremmo definire “selvaggio”?
Innanzitutto questi progetti (c’è ne sono almeno 5 o 6 in Italia in questo momento) dimostrano che esiste un interesse industriale per questa tecnologia, ma allo stato attuale manca un piano che definisca le aree marine disponibili allo scopo. Le Regioni finora non hanno fatto assolutamente nulla e la cosa è preoccupante se pensiamo che stiamo scontando ancora dei gravi ritardi in questo senso anche per l’eolico su terraferma. Non dobbiamo riprodurre quegli errori anche per le aree marine. A delineare una sorta di programmazione deve essere lo Stato (il mare è territorio statale), coinvolgendo le Regioni, con linee guida che stabiliscano quali siano le zone dove è possibile installare le macchine e dove è assolutamente vietato farlo. I paesi più avanzati nel settore (Germania, Gran Bretagna, Svezia) stanno procedendo in questo modo.

Esattamente qual è l’approccio di questi paesi?
Il percorso che hanno intrapreso è quello di fare innanzitutto studi a tappeto dei loro mari, hanno poi individuato le zone che non creano danni alle altre applicazioni in mare, hanno valutato l’impatto ambientale sulle aree marine per la pesca e per l’avifauna; infine, hanno stabilito regole per l’installazione delle turbine. Ad esempio, in Germania si sono individuati criteri per la scelta delle aree e norme specifiche che devono seguire gli operatori, tanto che si è potuto definire un chiaro obiettivo per il settore: 25.000 MW di eolico offshore entro 30 anni.
In diversi paesi si sta registrando una valutazione serrata proprio per sviluppare al meglio questa soluzione energetica. Definiti i siti e analizzati tutti gli impatti delle macchine in mare, queste aree saranno disponibili all’industrie private del settore, probabilmente attraverso bandi o gare di appalto ad hoc, come in Gran Bretagna. Un approccio trasparente, scientificamente corretto.
In Italia non esiste niente di tutto questo con il rischio di lasciare aperta la strada ad una corsa selvaggia all’uso del territorio marino senza regole specifiche.

Vediamo i possibili impatti di questi impianti. Ad esempio, i possibili danni all’ambiente marino e alla pesca.
Mi ricordo che per uno dei primi progetti preliminari di eolico offshore in provincia di Ragusa si era considerato vantaggioso installare macchine a mare perché così si evitava di far utilizzare le reti a strascico che tranciavano i cavi di tutte le strutture intorno al porto e verso le piattaforme petrolifere a largo, oltre che avere effetti devastanti su fauna e flora marina. Mettere le turbine in mare potrebbe significare anche proteggere il fondo marino.

La questione chiave è soprattutto l’impatto visivo: come va risolto questo aspetto? E’ solo un problema di ordine culturale?
Dire che l’impatto visivo sia legato ad un fattore culturale è un falso problema. In Italia abbiamo un territorio devastato da discariche abusive, le nostre forre sono state riempite da immondizia in molte località del paese. Abbiamo distrutto il paesaggio con le nostre costruzioni abusive senza criteri e senza la cultura architettonica che ci ha sempre contraddistinto nel passato. Interi complessi industriali hanno distrutto il paesaggio e, mentre dovevano produrre ricchezza, sono diventate solo macerie abbandonate. Chi dice che vuole proteggere il proprio paesaggio lo dovrebbe dimostrare partendo dal criticare queste vergogne. Il punto è che c’è poca educazione dei cittadini e delle autorità per capire cos’è veramente il paesaggio. L’eolico ha certamente un impatto locale, anche se questa nuova forma di “ambiente costruito” a qualcuno può piacere; c’è quindi un elemento soggettivo. Gli aerogeneratori comunque si mettono per produrre energia. Se non la produco con una tecnologia che non ha emissioni, la dovrò produrre comunque in altro modo, probabilmente inquinando. E’ forse meglio? Sia chiaro, nessuno però intende installare macchine eoliche in zone pregiate.

A chi critica la scarsa produzione dell’eolico in Italia cosa risponde?
Quando una società decide di fare un impianto di questo genere valuta il rischio dell’investimento che non è poca cosa. I primi ad essere interessati a installare macchine dove c’è vento sono gli operatori. Che senso ha investire ingenti risorse se non riesco a vendere i kWh eolici che produco e quindi a coprire le mie spese? In Italia il vento è presente e in alcune zone può consentire interessanti benefici economici a chi investe nel settore.

Che prospettive può avere l’eolico offshore nel nostro paese?
Anche se l’eolico offshore riuscisse a coprire qualche percentuale del fabbisogno elettrico nazionale, ad esempio il 5%, non dobbiamo ritenere che questa sia una quota trascurabile. Ne deriverebbe anche un buon beneficio per l’incremento dei posti di lavoro in settori che potrebbero essere in futuro in difficoltà, come le industrie petrolifere offshore. Ci sono poi tutta una serie di servizi in cui pescatori o altri lavoratori del mare potrebbero trovare un’occupazione. Anche questo va messo sul piatto della bilancia.

LB

14 marzo 2007

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